Monday, December 18, 2006

Il vigile urbano

Eh si.

Anch’io ci sono cascato.

Anch’io l’ho fatto.

Non dovevo.

Ero ancora vergine.

Avevo promesso di fare il bravo.

Eh si, anch’io sono entrato nel grande mondo dei corruttori.

Ho corrotto il mio primo poliziotto!

Questo weekend sono andato a Lusaka per motivi di lavoro, dopo una settimana passata tra ufficio mio, uffici altri per tentare di aprire conti in banca (qui in Zambia ci vuole uno che garantisca per te tipo: questo è un mio amico, vuole aprire un conto in banca. E’ un fidato e bravo ragazzo…) e altre menate amministrative che vi risparmio. L’altro 70% del mio tempo a fare contabilità, ad invitare per una birra il ragazzo inglese che fa il volontario presso l’Home Base Care della parrocchia, a collegarmi a internet sotto il mio albero preferito (ormai sono un attrazione tipo zoo).

E sabato mattina sono partito di buon ora. Dovete sapere che il terrore degli automobilisti in Zambia sono gli autovelox. Ma non è come in Italia dove si ci sono, ma magari non si sa dove e allora ci si becca la multa, ma piuttosto raramente, o ci sono i limiti ma tanto nessuno li rispetta perché chi ha mai visto una volante in giro, (tipo Raccordo Anulare a Roma)? In Zambia il limite è di 120 sulle strade extraurbane (ad una corsia) e 50 o 65 nei centri abitati. Se a Lusaka è facile rispettare i limiti, visto il traffico o la conoscenza dei punti strategici, fuori dalla capitale è più complesso. Spesso ci sono queste cittadine tipo far west, che si snodano lungo la strada per 2-3 km e il limite è dei 50. Solo che passa da 120 a 50, di solito senza avviso. Cioè, devi ricordarti che quella che attraversi è un centro abitato (e alle volte è oggettivamente difficile) e devi essere intuitivo sul punto di inizio del limite. Tipo: nella città di Mazabuka il limite inizia quando si imbocca un viale alberato e finisce quando? Quando dall’altro lato della carreggiata si intravede mezzo storto il cartello che segna il limite dei 65 per quelli che provengono in senso opposto.

Capite che se uno sta viaggiando e pensa ai fatti suoi, incappare nell’errore è quantomeno probabile. Ed è esattamente quello che è successo a me.

Nella cittadina prima di Lusaka, 4 case in croce, sto procedendo sostenuto quando intravedo un poliziotto/vigile che si mette in mezzo alla strada per impedirmi di proseguire. Il concetto di paletta è ovviamente inesistente. Quindi ‘sti poveri uomini devono entrare in strada fermando le macchine troppo veloci, ma evitando quelle che procedono regolarmente. Capite che rischi che corrono.

Insomma, mi fermano e penso: Marco, sei un coglione, ti meriti la multa e adesso la paghi.

Mi si avvicina il pubblico ufficiale molto cortese e sorridendo mi dice: Sir, driving licence, please. (patente, prego, qui per il libretto di circolazione evidentemente, si va sulla fiducia).

Al che gli porgo il foglio mezzo scrostato che mi farà da patente per un po’, fino al rilascio di quella plastificata.

Spendo la radio, mi tolgo gli occhiali e attendo la sentenza.

Ritorna il prode rappresentante della legge. “Sir, you were driving 86 km/h”. (Sir, stava andando a 86 km/h).

Che potevo dire? Andavo oltre 20 km in più del permesso!

Da buon spirito nordico gli sussurro: Yes sir, I know. You are right. I haven’t seen the signal. (non ho visto il segnale). Are sure that there is one? (Sicuro che ce ne sia uno?).

Al che spunta quello che evidentemente era il capo e mi fa, un po’ scocciato: Do u want to come with me and check together? (Vuole che andiamo a vedere insieme?).

Sicuro che non ci fosse, ma evitando di innervosire il maresciallo, ricordandomi di Bolzaneto, sorrido e dico: No sir, I’m sorry. E già mi umiliavo.

Rimango di nuovo solo con il sergente: Sir, it is 65000 Kwacha (circa 13 euro).

Pensando che in Italia prendevo 200 euro, -5 punti e una ramanzina pazzesca, mi metto di animo buono e faccio: I know. You are right. (Eh, ha ragione).

E allora succede quello che non mi sarei aspettato. Io, italiano, ma con spirito nordico, pronto ad affrontare il mio destino, che mi ero meritato giustamente, che mi stavo per prostrare davanti alla polizia zambiana dicendo: Fate di me quello che volete, ho sbagliato davanti a Dio e agli uomini. Ho infangato il nome della mia famiglia, dei miei amici, della mia organizzazione. Merito il massimo della pena. Sono vostro!

Nulla di tutto questo.

E’ successo che…sono stato corrotto!

Il sergente ha in mano il foglio della multa, la mia patente e guardandomi (io non vedevo perché avevo lo sguardo fisso sul volante e il capo reclinato in segno di massima sottomissione) mi dice:

(Segue dialogo raccolto da un testimone oculare accorso sul luogo del sinistro):

Sergente: Sir, we can arrange somehow before u pay. (Sir, possiamo sistemare in qualche modo prima che la faccia pagare).

Marco: Yes. I think it’s a good idea. (Si penso sia una buona idea).

S: How much can u afford? (Quanto può “impegnarsi/sforzarsi?).

M: Is it ok 30000? (mi sembrava una cifra onesta. Insomma 6 euro, circa 1 euro ogni 3,5 km oltre il limite)

S: Very well. (Molto bene). Detto con grande soddisfazione. (la prossima volta gli sparo massimo 25000).

Allora inizio a guardare fremendo nel portafoglio. Mi venivano in mano solo biglietti da 50000 Kwacha. Cosa faccio? Non potevo porgergliene uno e dirgli: Buon uomo, ha il resto? Magari mi avrebbe anche fregato altri 20000 Kwacha, ‘sto disonesto!

Vuoi vedere che…uff trovati.

Glieli porgo.

Il sergente mi saluta felice come un bambino che ha appena ricevuto un lecca lecca dalla nonna. Ci mancava solo che mi stringesse la mano.

Ma prima che scomparisse all’orizzonte, non potevo non accomiatarmi da questo simpatico gestore dell’ordine pubblico, da questo integerrimo rappresentante della forza armata nazionale, senza una frase che concludesse degnamente e mettesse la parola fine ad una gloriosa pagina della storia automobilistica dello Zambia.

Allora, inforcando gli occhiali, gonfiando il petto e scandendo chiaramente le parole, mi sono girato, l’ho guardato nelle palle degli occhi, e ghignando come neanche Il Cattivo di qualche film di Sergio Leone, gli ho detto: “I promise, from now I’ll be a good guy”. (Le prometto, da ora in poi farò il bravo ragazzo).

E sgommando sono partito verso la città, mentre dietro il sole illuminava la savana, lasciando solo alcuni automobilisti inferociti, incapaci di capire come avevo fatto, anche questa volta, ad uscire indenne e vincitore da una situazione così intricata.

Grazie esimi.

Arrivederci alla prossima puntata.

E la prossima volta che incontrerò Previti potrò dirgli con orgoglio e quasi con spocchia: Come butta, collega?

Sunday, December 10, 2006

Cari amici, qualcuno si lamenta perchè non sa dove abito. A parte che basta aprire un atlante, vi allego la mappa della Southern Province dello Zambia. io come sapete vivo a Chikuni, vicino a Monze e lavoro a Gwembe, 10 km da casa mia.
Spero che stiate tutti bene e buona domenica.
Oggi niente Land Cruiser, ma solo una panchina sotto un albero con fiori viola.

ciao!

Saturday, December 02, 2006

Sono vivo!


















1)Termiti!Mmhhh buone crunch crunch
2) Uno dei luoghi di lavoro...eh si....
3) Overland!
4) relax ogni tanto....
5) La scritta sulla Toyota dice: solo 6 passesggeri...come solo?





Ore 22.21 del 7 dicembre . Latitudine boh. Temperatura dell’aria 30 gradi. Calma piatta.
sono seduto nella mia macchina, una land cruiser tipo quelle bianche modello ambulanza. Sono connesso wireless con il server di radio chikuni, e mi trovo nel cortile dellla parrocchia.
deve essere una scena un po' buffa: un uomo bianco nel mezzo dell'africa che scrive al portatile in una 4x4!
Ma andiamo con ordine.
Ci eravamo lasciati venerdì che era il mio ultimo giorno del mio training a Siavonga.
Sabato mattina la partenza era fissata per le ore 6. Io ed Enrico abbiamo caricato in macchina le valigie e 2 suore. Una zambiana e una indiana. 2 donne di una bruttezza rara, ma per fortuna poco loquaci , in maniera tale che ho potuto fare il viaggio dormicchiando e ingoiando la polvere dei camion che occupavano la pista polverosa.
Il paesaggio per un buon 100 km è solo terra rossa e cespugli, qualche albero emerge dalla boscaglia ogni tanto. E’ iniziata la stagione delle piogge, quindi il paesaggio nel giro di una decina di giorni si è riempito di verde a perdita d’occhio.
Ogni tanto qualche timido venditore tenta di catturare la tua attenzione con qualche frutto, una pietra strana o una pelle di serpente secca da appendere come trofeo sullo stipite della porta.
Arrivati a Lusaka, la mattina del sabato è stata buttata attendendo che la suora riparasse una macchina da cucire antidiluviana. 2 ore e mezza ad aspettare, chiusi nella macchina in un quartiere poco rassicurante di Lusaka con gruppi di ragazzotti locali che puntano i ricchi uomini bianchi e magari provano ad aprirgli la macchina. Un paio di jump dalla portiera per far loro capire che non siamo fessi e tutto si sistema.
Poi siamo andati al Dutch market, un mercatino che si tiene una volta al mese dove si può trovare un po’ di tutto, dai mobili ai cagnetti, dagli elefanti di ebano, ai prodotti fatti dai vari progetti di sviluppo sparsi sul territorio. La clientela è composta dall’80% da bianchi. Quindi ho fatto il pieno visivo di visi pallidi, che poi nei prossimi tempi ne vedrò ben pochi (per fortuna?).
Nel pomeriggio sono andato a prendere Pierpaolo, esperto-consulente della cooperazione, colui il quale aveva aperto ufficialmente il mio progetto in agosto. Un tipo molto tosto ed emiliano, quindi con un accento modenese in inglese da film.
Si è fermato una settimana per introdurmi un po’ la zona di lavoro e le persone che ha incontrato ad agosto-settembre.
La sera compleanno di Gianclaudio, il coordinatore-paese del CeLIM qui in Zambia. Bella cena all’aperto, molto italiana e con chiacchere piacevoli, dal muro di Israele alla crisi irakena. La cosa curiosa era che non c’era uno zambiano. Italiani, slovacchi, svedesi ma non un singolo nero, locale, africano….
E domenica, dopo una notte passata nella splendida guest house delle comboni sisters (ossia le suore comboniane) altra partenza alle 6 verso la tanto agognata Chikuni. Non vi dico come mi sentivo: emozionato, incuriosito, eccitato….
Per farla breve, arriviamo a Monze, la “città” prima del mio paese. Scarichiamo gli altri passeggeri, questa volta solo degli altri cooperanti italiani e partiamo. Dopo una decina di km Pierpaolo, che guidava, mi fa: allora adesso vedi quell’albero? Prendilo come punto di riferimento che da lì inizia la pista.
Pista? Non si diceva strada, oppssssssss e giù per una pista in terra battuta rossa che si addentra per qualche km nel bush. Il mio SUV sarà estremamente utile nei prossimi mesi.
E arriviamo a Chikuni. Siccome io sono nel compound della parrocchia, mi immaginavo una chiesa e due casette, di cui una la mia.
Ma essendo una missione di gesuiti….c’è la radio (www.radiochikuni.com) , cooperative che fanno pane, vegetali, allevamenti di mucche e maiali, il collegio femminile, quello maschile…c’è anche ogni tanto il cinema all’aperto nei villaggi!
Fremevo dalla voglia di arrivare a casa e buttarmi sul materasso e dire: GOOD MOOOOORNING CHIKUNI!
Ma nella vita non tutto va sempre secondo i piani. Infatti appena abbiamo varcato il cancello ha iniziato a diluviare. Allora io e Pierpaolo corriamo davanti a casa e mettiamo la chiave nella toppa. Non gira! La porta ha la serratura e due lucchetti. I due lucchetti si aprono ma la chiave non gira
Proviamo la porta dietro. Gira ma non si apre. E le chiavi le ha la donna delle pulizie. Allora andiamo in cerca di Eusebia, la donna delle pulizie-cuoca.
Sempre sotto la pioggia riproviamo. Forse, pensiamo le chiavi sono state invertite. Nulla.
Allora con un ultimo sforzo riproviamo e la chiave della porta davanti si apre. Non era stata mai oliata probabilmente.
E la porta dietro? Nel tentativo di aprirla, la serratura era stata come forzata ed ora era incastrata.
Quindi, dopo esserci asciugati, abbiamo dovuto anche scassinare la porta. Ovviamente c’erano degli attrezzi in casa, ma ci si è dovuti comunque arrangiare in modo artigianale. Pierpaolo, molto più pratico di me, solito intellettuale pantofolaio, alla fine ce l’ha fatta e la porta è anche stata in piedi.
Poi finalmente abbiamo iniziato un po’ a lavorare la sera abbiamo deciso di andare a mangiare “fuori”. L’unico posto di Chikuni che può assurgere al titolo di ristorante è la mitica “Yellow House”. Avete presente le bettole del far west pieni di cowboy, ubriachi e battone? Ecco, lasciate solo gli ubriachi e dimenticate il saloon per accontentarvi di una stanza maleodorante dove gli insetti sono più degli esseri umani e avrete il Pub della città. L’unico ristorante al mondo che devi chiamare in anticipo, non per prenotate il tavolo (c’è ne sta uno!), ma per ordinare il cibo vero e proprio, che altrimenti arrivi e hanno solo un paio di birre. Ed è quello che noi abbiamo fatto. Pierpaolo aveva il numero della signora e ci siamo accordati per un pollo con inshima (spelling sbagliato credo) che è la polenta locale.
Arriviamo, ci sediamo, due birre e poi: “Where is the food?” domandiamo. “Which food?” risponde sorpresa Mrs Daka, la padrona cicciotta e ridolona. Insomma, Pierpaolo non aveva telefonato alla persona sbagliata, una locandiera di Livingstone, città situata presso le cascate Vittoria? Che infatti aveva messo a cuocere un pollo e c’era anche una bottiglia in frigo, ma 300 km più a sud. Prendendola all’africana, cioè ridendoci su e facendo una telefonata riparatoria di scuse, abbiamo alla fine ordinato il pollo. Fatto arrosto nel barbecue davanti a casa: tempo di preparazione 1 ora e mezza e tre birre. A letto esausti ma sazi.
E il lunedì inizia la settimana di fuoco: un corso di cooperazione condensato.
Lunedì speso in presentazioni. Vado a conoscere quelli con cui dovrò collaborare/lavorare. Siccome la mia controparte locale è la diocesi, ovviamente visita dal vescovo e sottoposti.
E la settimana è volata via. Sveglia tra le 6 e le 6.30, a letto presto, ma non troppo perché la sera si lavorava. Uniche distrazioni: qualche lavoretto in casa; un giro/visita al mitico villaggio di Chipepo, località che farebbe invidia a qualche angolino del lago di Como: niente Clooney, ma camionisti mezzi nudi che lavano il camion nel lago, pesce a 1 euro al chilo, spiaggia chiamata Miami Beach: lunga e bianca, peccato che non si possa fare il bagno per paura di qualche malattia strana (la Bilarzia, ad esempio) o di qualche ippopotamo o coccodrillo; oppure una cena a base di funghi e termiti! Eh si, ho chiesto alla donna delle pulizie di cucinarmi un po’ di termiti fritte e lei, come regalo, me ne ha portate un sacchetto pieno. Vi dico, non sono male, affumicate ricordano i gamberetti, a parte le alucce, le zampine….ahahhahah….mi sento Hannibal the Cannibal.
E comunque passate di qui. Ho un bel giardino, il campo a fianco dove Spoon, il giardiniere/mezzadro, si occupa della coltivazione di arachidi: io compro semi e fornisco il campo, lui coltiva e facciamo a metà col raccolto. Putto, il medioevo nel 2006! Il contratto non l’ho fatto io, ma Pierpaolo, ma avrò tante noccioline da mangiare. E la settimana si è conclusa sabato con un meritato tuffo in piscina, in lodge superfigo in mezzo ad un bosco dove ci sono antilopi e altri animali. E costava pochissimo, si badi bene.
Eh si, si sopravvive come si può.
Ah, vi lascio il mio cellulare, nel caso in cui vogliate chiamarmi (messaggi non posso riceverli): 0026099342254 e il mio indirizzo: Marco Ferrarini c/o Celim Project, P.O. Box 41, Gwembe, Zambia.
Un bacione e fatevi sentire

Thursday, November 23, 2006

Qualche foto


Ecco qui finalmente qualche foto. Quella sopra è uno dei termitai, sotto uno stranissimo baobab albino molto bello, poi ancora il mega baobab; noi 3 sul baobab, Roberto (il dottore), Enrico ed io; e con Roberto e Maxwell, uno dei lavoratori dell'ufficio, alla festa di addio di Clara, il medico italiano che torna in Italia. Alla prossima!






Wednesday, November 22, 2006

Pensavo fosse Zimbabwe invece era un baobab

Mi preparavo ad un weekend in compagnia di uno scozzese, un ungherese ed Enrico in Zimbabwe. Tutto era pronto: set per dipingersi di nero alla vista di Mugabe, fucile col silenziatore per gli elefanti, casco da colonialista, copia di un libro di con foto di Hemingway che va a caccia nella savana. Già dei sentori di sfiga aleggiante si stavano addensando a partire dalla sera prima, quando ci chiamano i due foresti e ci informano che lo scozzese ha male al pancino e non vengono.

Dopo una settimana passata a contabilità, io ed Enrico decidiamo che è essenziale per la nostra salute mentale recarci in Zimbabwe, dove ci aspettano due giorni di parco naturale, relax con eventualmente lodge con piscina e casinò. Per pulirmi la coscienza davanti al santo protettore dei cooperanti all’esetero, ho deciso che del casinò non me ne può frega’ di meno e guarderò Enrico sbancare le casse del paese, mandandolo ancor più in bancarotta.

Ma alle 7 del mattino di sabato ecco l’amara sorpresa: il bollo per uscire dallo Zambia è scaduto da 10 giorni….sorridendo perché tanto incazzarsi non serve a niente, decidiamo sul da farsi.

Enrico mi informa che le alternative sono due: piscina, ma il cielo non promette bene, oppure andare non molto lontano da casa nostra a vedere prima la diga sullo Zambesi costruita dagli italiani negli anni’50 e poi un particolarissimo baobab che pare che sia monumento nazionale. Incuriosito dallo scoprire una delle mitiche grandi opere e cosa deve avere di speciale un albero per entrare a far parte del patrimonio nazionale, mi riscopro ingegnere civile e botanico (avevo preso questa specialità agli scout) e ci avviamo, di buon mattino, verso la diga.

Sono le otto appena passate e non c’è ancora quella cappa di caldo che attanaglia ormai da giorni la regione. Dovrebbe già essere iniziata la stagione delle piogge ma, nonostante in cielo si aggirino grossi nuvoloni, non scende una goccia e l’umidità è insopportabile. La pianura padana ad agosto è stato un ottimo training, per fortuna.

La diga è stata costruita sul confine tra Zambia e Zimbabwe. E quindi prima di arrivarci dobbiamo andare a due diversi sportelli della frontiera. Enrico conosce tutti, visto che ha già fatto la guida ad altri qui. Poi essendo bianco, la seconda volta che ti fai vedere, già tutti sono amiconi. Enrico mi spiega che, soprattutto i funzionari dell’esercito e della polizia, è meglio farseli amici prima possibile, magari con favori di vario tipo. Niente di ché, basta una capra, un sacco di riso, meglio un prestito tramite il progetto. Tanto ripagano perché altrimenti fanno una figuraccia davanti ai colleghi. Marketing di tranquillità, lo definirei.

Ci avviamo verso la diga. Immensa e con un paesaggio molto bello. Da un lato il lago Kariba, formatosi appunto con la costruzione della diga e dall’altro lo Zambesi che continua placido (per ora) verso il Mozambico. Il lago ovviamente è stato formato a discapito delle popolazioni locali, quindi immaginatevi gli esodi e le migrazioni forzate che hanno dovuto subire le popolazioni aldiquà e aldilà del confine. Ci sono ancora progetti di sviluppo, dopo quasi 50 anni, che vertono sul grande trauma che queste popolazioni continuano a soffrire, a causa dello spostamento subito. C’è da domandarsi quanti di quelli che c’erano all’epoca ancora sopravvivono.

Torniamo indietro e solita trafila burocratica.

Passiamo davanti a casa e carichiamo su Clara e Roberto, i due medici che fanno lo stage allo sfigatissimo ospedale locale e ci dirigiamo fuori “città”, meglio fuori campagna., visto che Siavonga è considerata città da chi ci abita e borgo dagli abitanti della capitale, ma in effetti non sarà più grande di Selvazzano.

Dopo una mezz’ora di strada asfaltata ci inoltriamo in uno sterrato ai cui lati vi sono decine di baobab e altri alberi maestosi. Il paesaggio, piatto e secco, è costellato da termitai. Decine di montagnole di terra rossa, solitarie o appoggiate ad un albero.

Non so se avete mai avuto al fortuna di vedere un baobab, ma i rami iniziano circa a 3-4 metri dal suolo. Prima il tronco è grosso e gibboso, poi i rami, grossi come i tronchi di molti alberi che crescono vicini, si aprono e si innalzano per molti metri. Ma è la grandezza del tronco ad impressionare. E poi i Baobab hanno mille forme. Ricordano un po’ i fiocchi di neve: non ne puoi vedere due uguali e spesso nemmeno simili.

Passiamo vicino ad un paio di villaggi e poi, fuori da uno di questi, intravediamo il “monumento”. Un enorme, immenso Baobab che si è letteralmente sdraiato sopra un altro e ora crescono insieme. Saliamo sopra. Il tronco è come pietra, di una durezza incredibile, pieno di venature (e anche, purtroppo, di qualche scritta). Attorno al tronco si piazzano un po’ di ragazze con dei bambini. Pensiamo che vogliano soldi, ma per una volta desiderano solo un passaggio nel villaggio vicino per un paio di loro. Ma se succede un incidente o qualcos’altro, l’assicurazione non paga, quindi gentilmente rispondiamo che non è possibile. Silenziosamente e sorridendo se ne vanno.

E rimaniamo finalmente noi 4. Silenzio e spazi aperti. L’Africa che mi mancava e che ho, finalmente, ritrovato.

Friday, November 17, 2006

Chi non lavora non fa...

Questa settimana finalmente si è iniziato a lavorare.
Non che fossi triste di fare un po’ il turista, ma ho voglia veramente di essere operativo e poi Lusaka non è la città ideale per andare in giro e guardarsi attorno ammirando la bellezza dei monumenti. Molti alberi e verde, anche se essendo la stagione delle piogge appena cominciata, la terra è ancora molto rossa e secca e se c’è vento, le strade sono invase dalla polvere. Per il resto una città bruttina, non come Milano, ma va bene.
Lunedì mattina ho dunque preso servizio come “stagista” nell’ufficio del CeLIM di Siavonga. Fino al 24 sarò affiancato ad Enrico e al suo staff per apprendere un po’ di segreti di come far funzionare in modo efficiente e produttivo un progetto di microcredito.
Quindi sedute di principi di contabilità, partita doppia, libri giornali, tutte cose che avevo di sfuggita annusato nello studio della commercialista dove ho lavorato fino a qualche tempo fa, ma che non mi sarei immaginato di ritrovarmi davanti in Africa.
Intanto ho potuto apprezzare il mio compagno di casa Enrico, un tipo molto molto in gamba con cui ci troviamo d’accordo e non mi sembra affatto di conoscerlo da solo una settimana. E dotato di una pazienza notevole, poveraccio.
Normalmente in questi giorni la mia giornata tipo è così ordinata:
ore 7.10: sveglia. Penso che poi sarà il caso di svegliarsi anche prima, anche perché il primissimo mattino è uno dei pochissimi momenti freschi della giornata. Enrico si sveglia verso 6.30, ma per me è ancora presto (non nel senso dell’ora, ma me la prendo ancora con un minimo di calma, devo abituarmi al fuso orario etc. Ma è meglio che inizi ad abituarmi a fasi all’idea di spegnere la luce alle 22 e riaccenderla alle 6…)
ore 8.00: entrata trionfale in ufficio dopo doccia e colazione spartana.
Ore 8.01: controllo ordine del giorno e lista della spesa con Enrico. Lista della spesa nel senso di lista delle cose che ci siamo ripromessi di fare in queste due settimane.
Ore 9.00: pausa per bere, che si ripete con scadenze variabili tra i 20 e 30 minuti.
Ore 13: pausa pranzo, con invariabilmente pasta cucinata una mezz’ora prima dalla donna che si occupa un po’ delle faccende di casa. Tanto fa così caldo che potrebbe stare lì per un ora e mezza e rimane a temperatura appena scolata.
Ore 13.30: pennica d’obbligo. Di solito non c’è problema per risvegliarsi a parte oggi che, nonostante la sveglia ed Enrico che mi scuotesse, ho continuato imperterrito a dormire. Cosa avreste fatto voi dopo una mattina a provare a capire cosa è il capitale netto, il dare e avere dei costi e ricavi etc? è già un miracolo che ho dormito solo un’ora!
Ore 14.00: ripresa lavorativa. Normalmente il pomeriggio vado a lavorare in campo, cioè mi metto dietro ai credit officer (cioè quelli che seguono i prestiti dati ai beneficiari del progetto) per i loro giri nei vari quartieri della cittadina. E qui incontriamo le persone più disparate: soprattutto donne intanto, che hanno i business più incredibili. Da chi fa le frittelle al mercato, a chi compra il frigo per metterci dentro le bibite e averle belle fresche, chi coltiva piante per gli alberghi, chi vende vestiti di seconda mano (che poi in italia sarebbero quanto bene di quarta).
L’altro giorno abbiamo avuto il racconto più bello da un signore: questo ci ha raccontato che suo padre, agricoltore, aveva 8 mogli. Ovviamente abitava in una casa grande che poteva ospitare tutta la famiglia. Anche perché il padre ha procreato 39 figliuoli/figliuole. Lui era il 5°, e come ci ha detto si sentiva un privilegiato per essere tra quelli nati prima. Poi purtroppo, il padre è morto. E al funerale oltre ai figli rimasti vivi c’erano alcuni dei suoi 99 nipoti. Il giorno dopo il funerale è nato il 100esimo. E io, Enrico, lui ci siamo chiesti: ma come ha fatto a reggere 8 mogli, almeno una ventina di figlie e il resto di nipoti, nuore etc.? Infatti lui ci ha detto: ho una moglie, la amo, mi basta. Pragmatico.
Ore 17.00: Fine del lavoro in ufficio e continuazione del personal training con Enrico.
Ore 18.30: Doccia rinfrescante, con acqua tiepida, perché l’acqua fredda non esiste, nel senso che i tubi si riscaldano così tanto che l’acqua si scalda nel tragitto dal serbatoio al getto.
Ore 20.30: cena. Enrico ha fatto il cuoco per anni in un ristorante milanese, così abbiamo trovato un compromesso: io metto le birre in frigo, le apro, apparecchio, taglio il grana, lui alle volte cucina. E così continua la tradizione iniziata con Claudia in Svezia. Come farò poi a Chikuni che sono ad solo?
Ore 21.00: TG1. Dal satellite ci vediamo le beghe di Prodi, e menate varie. L’Italia, ci spiace, non ci manca.
Ore 22.00: varie ed eventuali. L’Inter, le partite dell’Italia, qualche libro, chacchere da uomini etc.
Generalmente collassiamo catatonici a letto prima di realizzare cosa vorremo fare.
Domani proviamo a passare il confine e ad andare in Zimbabwe.
Se sentite di due bianchi che sono stati attaccati dai cannibali e mangiati dopo essere stati scaldati nel pentolone...potremmo essere noi.

Saludos

Monday, November 13, 2006

40 gradi all'ombra del lago

ragazzi,

qui fa un caldo boia. Ci saranno 40 gradi e 90% umidità. se mi sentite lamentarmi di quanto fa caldo a padova d'estate, beh la prossima volta ditemi: eh, ma siavonga.
Su quel ramo del lago di Kariba, dove si staglia una ridente cittadina balneare che ospita uno dei progetti del CeLIM qui in Zambia. direi un progetto "storico" visto che sono presenti da ormai 12 anni. e ci sono finito anch'io nel programma di training che faccio prima dell'inizio del pregetto vero e proprio.
il mio "boss" è Enrico, ragazzo milanese con padre mantovano, e questo è già un punto che ci accomuna. io starò qui una decina di giorni e cercherò di imparare tutti i segreti del microcredito e dell'Inter. Infatti Enrico è uno sfegatato tifoso interista munito di gagliardetto e satellite per seguire le partite della Beneamata. Che beffa se dovesse vincere lo scudett quest'anno e lui è in Africa a festeggiare da solo in un bar, o a fare caroselli con una toyota 4x4 sullo sterrato!
Comunque sono giunto qua domenica pomeriggio, dopo aver passato un weekend tranquillo ed essere uscito sabato sera con un gruppo di zambiani, amici di una ragazza italiana che lavora anche lei per il CeLIM. siamo andati in un posto che era più locale del vecio bacaro a padova, niente bianchi in giro e andava bene così, solo che i ragazzi hanno iniziato ad offrirmi birre a go go e fortuna che la birra zambiani oscilla tra il 4% e il 5% di alcool. in belgio ero già al coma etilico.
nei prossimi giorni vi racconto di cosa succede in questo angolo d'africa. ora corro a letto che domani l'ufficio apre alle 8 (ma chi ha detto che gli africani non lavorano) ma la sveglia e fissata prima e di molto!
Marco

Friday, November 10, 2006

Mr Ferrarini, I suppose!

L’avventura lavorativa nel vecchio mondo inizia con una gelata mattutina a Padova, ora terrestre 6.00 del 7 novembre 2006.
Intirizzito, ma confortato dai 30 e passa gradi che mi aspetto di trovare a Lusaka, mi avvio in compagnia di papà Angelo, fratello Mele, la valigia e il baule, un mostro verde con bardature d’oro da 50 kg, gentile concessione del CeLIM (che, per chi non lo sapesse ancora, è la Organizzazione per cui lavorerò i prossimi 2 anni…speriamo!).
Entrata in autostrada ore 6.30 e arrivo a Milano ore 9.45. Poi avvicinamento progressivo ma con ottimo navigatore (Angelo) e passeggero narcotizzato (Mele).
Ultimo cappuccio al bar e poi imbarco di ulteriore passeggero (Paolo, in missione per conto del CeLIM).
Volo alle 14.45, arrivo in aeroporto alle 11.30. Diciamo che eravamo un pelo in anticipo, nonostante si fosse parlato del caos dovuto alle nuove regole UE (niente liquidi nel bagaglio a mano), l’unico ritardo è stato quello di Alitalia. 40 minuti fermi sulla pista e non si sapeva perché. Poi ti chiedi come mai stanno fallendo! Intanto ci aveva raggiunto anche Davide, ovvero il mio boss e plenipotenziario della ONG, uno di quelli che sono bravi un po’ in tutto e ricoprono una funzione di jolly all’interno delle Organizzazioni: uno stipendio (da fame, spesso) ma 2000 ruoli diversi (che io sappia, lui è un po’ selezionatore, formatore, coordinatore dell’ufficio progetti, fa i monitoraggi etc. E ha 4 figli, nel tempo libero che gli rimane. Il fatto che sia completamente calvo potrebbe anche trattarsi di un preoccupante sintomo psico-somatico).
Arrivo a Parigi con segnalazioni fatte da culo e addetti maleducati: inutile dire che ogni tanto partiva qualche “Poporopopopopo!”, tanto per fargli capire che i Campioni del Mondo siamo noi, francesi di m…da!
Poi il volo: Parigi-Johannesburg 12 ore. Eravamo su un volo diretto in Sud-Africa, compagnia aerea South Africa Airways e gli unici neri erano praticamente solo le hostess e gli stewards. E allora ti domandi: ma forse non è che un minimo di apartheid, almeno economico, c’è ancora?
A Johannesburg sosta di 3 orette, per poi ripartire e atterrare a Lusaka. Ora locale 12.30, un ora avanti rispetto all’Italia.
Primo scoglio, il visto. Costo 25 $, siamo in tre =75$. Davide allunga all’addetto (che intanto ci fa i complimenti per avere vinto la Coppa del Mondo…Ma vieni!) 100$. Il resto è dunque 25$. Ma all’ufficio non hanno i 5$. Considerando che qualsiasi visto costa 25$, non sarebbe utile fare una scorta di banconote di 5$, vero?? Allora suggeriamo all’addetto che può darci il resto in kwuacha, la moneta zambiana. Niente, dopo gli sballano i conti. Allora alla fine aspettiamo che qualcun altro paghi con 5$, ma tutti hanno 50 o 100 e la fila di chi aspetta è oramai più lunga di quella dei pagamenti. Alla fine Davide è costretto ad andare in banca, cambiare i 100$ in banconote di taglio più piccolo e finalmente pagare.
Fuori dall’aeroporto ci è venuto a prendere Gianclaudio, coordinatore Paese Zambia (il capo, per gli addetti ai lavori), vicentino di Bassano, mascella alla Terence Hill, pantalone verde alla Franco Franchi.
Ci avviamo su una Toyota Land Cruiser stile Overland anni ’70 verso casa sua.
Inizio a respirare di nuovo il sapore dell’Africa, forte e denso come l’avevo lasciato 2 anni fa. La terra è ancora arida, ma la stagione delle piogge è appena iniziata e verrà anche qui il tempo delle distese verdi.
Il sole picchia forte (qui è estate) e ci sono almeno 30 gradi. Arriviamo a casa di Giancludio, che abita in una deliziosa casetta di proprietà di una delle ministre del governo che, essendo senza portafoglio, affitta le sue proprietà per sopravvivere, mentre lei vive in una villa da qualche parte di Lusaka.
Ci accolgono Sabrina, la moglie, e Nicolò, uno di quei deliziosi bambini che siete contenti di avere in giro se non sono figli tuoi. Infatti non sta mai fermo, urla e corre in giro, insomma uno di quei bambini che negli Stati Uniti tranquillizzerebbero con pastiglie e droghe, perché l’imperattivismo è una sorta di malattia. Mah…
Nel pomeriggio mi riposo e scrivo un po’, poi alla sera andiamo a mangiare al cinese (sic!) con altri volontari e cooperanti della ONG, riunitisi in città per la riunione plenaria che si è tenuta stamattina.
Conosco nell’ordine Monja, che si occupa di un progetto di educazione a Lusaka, Luciano che fa un dottorato e Servizio Civile in una zona sperduta a Ovest (Far West nel vero senso della parola), dove si occupa di un progetto di riforestazione, Michele e Ilaria, coppia di Bocconiani che sono migrati a Sud, vicino alle cascate Vittoria e inoltre il vice console e sua moglie. Ovviamente per fare il vice console in un paese dove la prima è l’inglese, nel CV non deve esserci scritto che l’inglese lo sai, ma almeno un corso di lingua per eliminare un pesantissimo accento della brianza e ampliare un minimo il vocabolario, nei 10000 euro al mese che gli passano potrebbe essere incluso, vero no?? Vabbè, la prossima volta mi candido come interprete all’ambasciata italiana a Tokyo, che magari mi prendono anche.
Cibo ottimo e chiacchiero con Luciano, che oltre ad essere appassionato di fotografia, mi sembra un ottimo compagno di viaggio per il Safari natalizio.
Notte passata a casa di Monja, nel territorio della diocesi, sotto la vigile ombra della cattedrala di lusaka, un enorme container verde (avete presente i terremotati dell’Umbria?).
Il giovedì ci si sveglia con calma alle 9, e poi mi faccio scorrazzare in giro da Luciano che deve andare a parlare di piante medicinali all’università.
Conosciamo Cecilia, insegnate di Medical Geography, una zambiana ben impostata, alla mano con camicetta azzurra e gonna jeans slavata, che alla fine della giornata ci dà il suo numero di cellulare dicendo di chiamarla anche per fare 2 chiacchere. Come le nostre docenti, right?
Nella mattinata ho anche l’emozione di guidare per la prima volta in Africa. Mezzo di trasporto: pulmino Toyota bianco panna. Ah, in Zambia si guida all’inglese, quindi “all’incontrario” rispetto all’Italia. Bene, mi dico, non sarà difficile. Infatti giungo sano e salvo a casa di Gianclaudio, rendendomi conto solo dopo che ho fatto 8 km invertendo le frecce. In effetti mi domandavo perché ad ogni incrocio mi suonavano.
A pranzo pesce fritto in ristorantino. Economico, ma non come mi aspettavo. L’Etiopia e il Perù il mio portafoglio è meglio che se li scordi al più presto.
Pomeriggio con incontro con la THPAZ (Traditional Health Practitioners Association of Zambia), né più né meno una lobby dei guaritori, stregoni e medici tradizionali dello Zambia. Cosa direbbe Bersani? Liberalizzerebbe come farmaci da banco le unghie di facocero per curare i reumatismi o la papaia cotta contro al malaria? In effetti è a tutti gli effetti un gruppo lobbystico. Alla domanda di Luciano se ci fosse la possibilità di avere dei volantini o pubblicazioni che specificassero le qualità delle singole piante, il vice-direttore dell’associazione ha sussurrato: mio nonno le ha tramandate a mio padre, mio padre a me e io lo farò a mio figlio. Punto. Chiaro direi. Peccato che poi si lamentino che la medicina tradizionale si sta perdendo, che viene soppiantata dai farmaci occidentali etc. Ma se rimane tutto fra pochi intimi (anche se l’associazione conta 40.000 membri) come si fa? Ovvio che si tratta di un ragionamento da ragazzo occidentale, niente di più.
A sera andiamo a cena con Luciano e Delia, responsabile di un progetto che si occupa di HIV per una ONG inglese, al ristorante indiano. Mangiamo come dei bufali, perché non conoscendo la grandezza delle portate, ovviamente ordiniamo troppo. Serata piacevole e discorsi da bar, ma divertenti, tipo di cosa parlano le donne e cosa è stata la cosa più spiacevole che vi è successa durante una notte di sesso. Sex and the City missione Zambia.
Dialogo tipo:

Delia: il peggio è stato quando uno si è acceso la TV dopo aver “finito” per vedere le partite di calcio.
Marco: Beh, spero che dopo lo avrai scaricato subito!
Delia: No. E’ stato il mio ragazzo per 10 anni.
Marco: Auguri!

Stamani poi c’è stata la fatidica riunione plenaria. Tutti i volontari presenti, compresi Enrico, che mi farà una decina di giorni di training di microcredito a Siavonga, sul lago (scordatevi che faccia il bagno perché non voglio finire come Capitan Uncino e il coccodrillo).
Si è parlato di un po’ di tutto, dai soldi ai rapporti con i partner locali, che non sono ragazzi e ragazze del luogo con cui i volontari e cooperanti si accompagnano, ma coloro i quali sovvenzionano il progetto o si lavora più strettamente. Il mio sarà la Diocesi di Monze, dove spero di incontrare la famosa monaca di Monze…ehehhe. Battutone!
Sono sopravvissuto all’incontro anche perché non avendo praticamente nulla da dire, il mio progetto ha fatto la figura di quello con meno problemi…per ora.
Poi pranzo all’ombra del gazebo e con 30 gradi abbondanti. Special Guest: la soppressa veneta che papà mi ha inserito in valigia. Grazie Pa’, ha avuto un successo aspettato!
Inutile dirvi che qui mi sento a casa. la gente ti saluta (sei bianco ok, ma un sorriso e' sempre ben accetto), ci si ferma a fare 4 chiacchere ed e' bello cosi'. le relazioni umane ti fanno "perdere" tempo che useresti per cosa? lavoro, certo. Ma non dimentichiamoci degli altri, ecco qui hai la sensazione di non essere un numero sulla metrepolitana. Grazie Zambia.
Vi bacio tutti (qualcuno di più) e alla prossima!

Friday, October 20, 2006

Uno Due Tre Prova

Beh, si comincia, ora terrestre 12.38, Selvazzano, Padova, Italia