Monday, December 18, 2006

Il vigile urbano

Eh si.

Anch’io ci sono cascato.

Anch’io l’ho fatto.

Non dovevo.

Ero ancora vergine.

Avevo promesso di fare il bravo.

Eh si, anch’io sono entrato nel grande mondo dei corruttori.

Ho corrotto il mio primo poliziotto!

Questo weekend sono andato a Lusaka per motivi di lavoro, dopo una settimana passata tra ufficio mio, uffici altri per tentare di aprire conti in banca (qui in Zambia ci vuole uno che garantisca per te tipo: questo è un mio amico, vuole aprire un conto in banca. E’ un fidato e bravo ragazzo…) e altre menate amministrative che vi risparmio. L’altro 70% del mio tempo a fare contabilità, ad invitare per una birra il ragazzo inglese che fa il volontario presso l’Home Base Care della parrocchia, a collegarmi a internet sotto il mio albero preferito (ormai sono un attrazione tipo zoo).

E sabato mattina sono partito di buon ora. Dovete sapere che il terrore degli automobilisti in Zambia sono gli autovelox. Ma non è come in Italia dove si ci sono, ma magari non si sa dove e allora ci si becca la multa, ma piuttosto raramente, o ci sono i limiti ma tanto nessuno li rispetta perché chi ha mai visto una volante in giro, (tipo Raccordo Anulare a Roma)? In Zambia il limite è di 120 sulle strade extraurbane (ad una corsia) e 50 o 65 nei centri abitati. Se a Lusaka è facile rispettare i limiti, visto il traffico o la conoscenza dei punti strategici, fuori dalla capitale è più complesso. Spesso ci sono queste cittadine tipo far west, che si snodano lungo la strada per 2-3 km e il limite è dei 50. Solo che passa da 120 a 50, di solito senza avviso. Cioè, devi ricordarti che quella che attraversi è un centro abitato (e alle volte è oggettivamente difficile) e devi essere intuitivo sul punto di inizio del limite. Tipo: nella città di Mazabuka il limite inizia quando si imbocca un viale alberato e finisce quando? Quando dall’altro lato della carreggiata si intravede mezzo storto il cartello che segna il limite dei 65 per quelli che provengono in senso opposto.

Capite che se uno sta viaggiando e pensa ai fatti suoi, incappare nell’errore è quantomeno probabile. Ed è esattamente quello che è successo a me.

Nella cittadina prima di Lusaka, 4 case in croce, sto procedendo sostenuto quando intravedo un poliziotto/vigile che si mette in mezzo alla strada per impedirmi di proseguire. Il concetto di paletta è ovviamente inesistente. Quindi ‘sti poveri uomini devono entrare in strada fermando le macchine troppo veloci, ma evitando quelle che procedono regolarmente. Capite che rischi che corrono.

Insomma, mi fermano e penso: Marco, sei un coglione, ti meriti la multa e adesso la paghi.

Mi si avvicina il pubblico ufficiale molto cortese e sorridendo mi dice: Sir, driving licence, please. (patente, prego, qui per il libretto di circolazione evidentemente, si va sulla fiducia).

Al che gli porgo il foglio mezzo scrostato che mi farà da patente per un po’, fino al rilascio di quella plastificata.

Spendo la radio, mi tolgo gli occhiali e attendo la sentenza.

Ritorna il prode rappresentante della legge. “Sir, you were driving 86 km/h”. (Sir, stava andando a 86 km/h).

Che potevo dire? Andavo oltre 20 km in più del permesso!

Da buon spirito nordico gli sussurro: Yes sir, I know. You are right. I haven’t seen the signal. (non ho visto il segnale). Are sure that there is one? (Sicuro che ce ne sia uno?).

Al che spunta quello che evidentemente era il capo e mi fa, un po’ scocciato: Do u want to come with me and check together? (Vuole che andiamo a vedere insieme?).

Sicuro che non ci fosse, ma evitando di innervosire il maresciallo, ricordandomi di Bolzaneto, sorrido e dico: No sir, I’m sorry. E già mi umiliavo.

Rimango di nuovo solo con il sergente: Sir, it is 65000 Kwacha (circa 13 euro).

Pensando che in Italia prendevo 200 euro, -5 punti e una ramanzina pazzesca, mi metto di animo buono e faccio: I know. You are right. (Eh, ha ragione).

E allora succede quello che non mi sarei aspettato. Io, italiano, ma con spirito nordico, pronto ad affrontare il mio destino, che mi ero meritato giustamente, che mi stavo per prostrare davanti alla polizia zambiana dicendo: Fate di me quello che volete, ho sbagliato davanti a Dio e agli uomini. Ho infangato il nome della mia famiglia, dei miei amici, della mia organizzazione. Merito il massimo della pena. Sono vostro!

Nulla di tutto questo.

E’ successo che…sono stato corrotto!

Il sergente ha in mano il foglio della multa, la mia patente e guardandomi (io non vedevo perché avevo lo sguardo fisso sul volante e il capo reclinato in segno di massima sottomissione) mi dice:

(Segue dialogo raccolto da un testimone oculare accorso sul luogo del sinistro):

Sergente: Sir, we can arrange somehow before u pay. (Sir, possiamo sistemare in qualche modo prima che la faccia pagare).

Marco: Yes. I think it’s a good idea. (Si penso sia una buona idea).

S: How much can u afford? (Quanto può “impegnarsi/sforzarsi?).

M: Is it ok 30000? (mi sembrava una cifra onesta. Insomma 6 euro, circa 1 euro ogni 3,5 km oltre il limite)

S: Very well. (Molto bene). Detto con grande soddisfazione. (la prossima volta gli sparo massimo 25000).

Allora inizio a guardare fremendo nel portafoglio. Mi venivano in mano solo biglietti da 50000 Kwacha. Cosa faccio? Non potevo porgergliene uno e dirgli: Buon uomo, ha il resto? Magari mi avrebbe anche fregato altri 20000 Kwacha, ‘sto disonesto!

Vuoi vedere che…uff trovati.

Glieli porgo.

Il sergente mi saluta felice come un bambino che ha appena ricevuto un lecca lecca dalla nonna. Ci mancava solo che mi stringesse la mano.

Ma prima che scomparisse all’orizzonte, non potevo non accomiatarmi da questo simpatico gestore dell’ordine pubblico, da questo integerrimo rappresentante della forza armata nazionale, senza una frase che concludesse degnamente e mettesse la parola fine ad una gloriosa pagina della storia automobilistica dello Zambia.

Allora, inforcando gli occhiali, gonfiando il petto e scandendo chiaramente le parole, mi sono girato, l’ho guardato nelle palle degli occhi, e ghignando come neanche Il Cattivo di qualche film di Sergio Leone, gli ho detto: “I promise, from now I’ll be a good guy”. (Le prometto, da ora in poi farò il bravo ragazzo).

E sgommando sono partito verso la città, mentre dietro il sole illuminava la savana, lasciando solo alcuni automobilisti inferociti, incapaci di capire come avevo fatto, anche questa volta, ad uscire indenne e vincitore da una situazione così intricata.

Grazie esimi.

Arrivederci alla prossima puntata.

E la prossima volta che incontrerò Previti potrò dirgli con orgoglio e quasi con spocchia: Come butta, collega?

Sunday, December 10, 2006

Cari amici, qualcuno si lamenta perchè non sa dove abito. A parte che basta aprire un atlante, vi allego la mappa della Southern Province dello Zambia. io come sapete vivo a Chikuni, vicino a Monze e lavoro a Gwembe, 10 km da casa mia.
Spero che stiate tutti bene e buona domenica.
Oggi niente Land Cruiser, ma solo una panchina sotto un albero con fiori viola.

ciao!

Saturday, December 02, 2006

Sono vivo!


















1)Termiti!Mmhhh buone crunch crunch
2) Uno dei luoghi di lavoro...eh si....
3) Overland!
4) relax ogni tanto....
5) La scritta sulla Toyota dice: solo 6 passesggeri...come solo?





Ore 22.21 del 7 dicembre . Latitudine boh. Temperatura dell’aria 30 gradi. Calma piatta.
sono seduto nella mia macchina, una land cruiser tipo quelle bianche modello ambulanza. Sono connesso wireless con il server di radio chikuni, e mi trovo nel cortile dellla parrocchia.
deve essere una scena un po' buffa: un uomo bianco nel mezzo dell'africa che scrive al portatile in una 4x4!
Ma andiamo con ordine.
Ci eravamo lasciati venerdì che era il mio ultimo giorno del mio training a Siavonga.
Sabato mattina la partenza era fissata per le ore 6. Io ed Enrico abbiamo caricato in macchina le valigie e 2 suore. Una zambiana e una indiana. 2 donne di una bruttezza rara, ma per fortuna poco loquaci , in maniera tale che ho potuto fare il viaggio dormicchiando e ingoiando la polvere dei camion che occupavano la pista polverosa.
Il paesaggio per un buon 100 km è solo terra rossa e cespugli, qualche albero emerge dalla boscaglia ogni tanto. E’ iniziata la stagione delle piogge, quindi il paesaggio nel giro di una decina di giorni si è riempito di verde a perdita d’occhio.
Ogni tanto qualche timido venditore tenta di catturare la tua attenzione con qualche frutto, una pietra strana o una pelle di serpente secca da appendere come trofeo sullo stipite della porta.
Arrivati a Lusaka, la mattina del sabato è stata buttata attendendo che la suora riparasse una macchina da cucire antidiluviana. 2 ore e mezza ad aspettare, chiusi nella macchina in un quartiere poco rassicurante di Lusaka con gruppi di ragazzotti locali che puntano i ricchi uomini bianchi e magari provano ad aprirgli la macchina. Un paio di jump dalla portiera per far loro capire che non siamo fessi e tutto si sistema.
Poi siamo andati al Dutch market, un mercatino che si tiene una volta al mese dove si può trovare un po’ di tutto, dai mobili ai cagnetti, dagli elefanti di ebano, ai prodotti fatti dai vari progetti di sviluppo sparsi sul territorio. La clientela è composta dall’80% da bianchi. Quindi ho fatto il pieno visivo di visi pallidi, che poi nei prossimi tempi ne vedrò ben pochi (per fortuna?).
Nel pomeriggio sono andato a prendere Pierpaolo, esperto-consulente della cooperazione, colui il quale aveva aperto ufficialmente il mio progetto in agosto. Un tipo molto tosto ed emiliano, quindi con un accento modenese in inglese da film.
Si è fermato una settimana per introdurmi un po’ la zona di lavoro e le persone che ha incontrato ad agosto-settembre.
La sera compleanno di Gianclaudio, il coordinatore-paese del CeLIM qui in Zambia. Bella cena all’aperto, molto italiana e con chiacchere piacevoli, dal muro di Israele alla crisi irakena. La cosa curiosa era che non c’era uno zambiano. Italiani, slovacchi, svedesi ma non un singolo nero, locale, africano….
E domenica, dopo una notte passata nella splendida guest house delle comboni sisters (ossia le suore comboniane) altra partenza alle 6 verso la tanto agognata Chikuni. Non vi dico come mi sentivo: emozionato, incuriosito, eccitato….
Per farla breve, arriviamo a Monze, la “città” prima del mio paese. Scarichiamo gli altri passeggeri, questa volta solo degli altri cooperanti italiani e partiamo. Dopo una decina di km Pierpaolo, che guidava, mi fa: allora adesso vedi quell’albero? Prendilo come punto di riferimento che da lì inizia la pista.
Pista? Non si diceva strada, oppssssssss e giù per una pista in terra battuta rossa che si addentra per qualche km nel bush. Il mio SUV sarà estremamente utile nei prossimi mesi.
E arriviamo a Chikuni. Siccome io sono nel compound della parrocchia, mi immaginavo una chiesa e due casette, di cui una la mia.
Ma essendo una missione di gesuiti….c’è la radio (www.radiochikuni.com) , cooperative che fanno pane, vegetali, allevamenti di mucche e maiali, il collegio femminile, quello maschile…c’è anche ogni tanto il cinema all’aperto nei villaggi!
Fremevo dalla voglia di arrivare a casa e buttarmi sul materasso e dire: GOOD MOOOOORNING CHIKUNI!
Ma nella vita non tutto va sempre secondo i piani. Infatti appena abbiamo varcato il cancello ha iniziato a diluviare. Allora io e Pierpaolo corriamo davanti a casa e mettiamo la chiave nella toppa. Non gira! La porta ha la serratura e due lucchetti. I due lucchetti si aprono ma la chiave non gira
Proviamo la porta dietro. Gira ma non si apre. E le chiavi le ha la donna delle pulizie. Allora andiamo in cerca di Eusebia, la donna delle pulizie-cuoca.
Sempre sotto la pioggia riproviamo. Forse, pensiamo le chiavi sono state invertite. Nulla.
Allora con un ultimo sforzo riproviamo e la chiave della porta davanti si apre. Non era stata mai oliata probabilmente.
E la porta dietro? Nel tentativo di aprirla, la serratura era stata come forzata ed ora era incastrata.
Quindi, dopo esserci asciugati, abbiamo dovuto anche scassinare la porta. Ovviamente c’erano degli attrezzi in casa, ma ci si è dovuti comunque arrangiare in modo artigianale. Pierpaolo, molto più pratico di me, solito intellettuale pantofolaio, alla fine ce l’ha fatta e la porta è anche stata in piedi.
Poi finalmente abbiamo iniziato un po’ a lavorare la sera abbiamo deciso di andare a mangiare “fuori”. L’unico posto di Chikuni che può assurgere al titolo di ristorante è la mitica “Yellow House”. Avete presente le bettole del far west pieni di cowboy, ubriachi e battone? Ecco, lasciate solo gli ubriachi e dimenticate il saloon per accontentarvi di una stanza maleodorante dove gli insetti sono più degli esseri umani e avrete il Pub della città. L’unico ristorante al mondo che devi chiamare in anticipo, non per prenotate il tavolo (c’è ne sta uno!), ma per ordinare il cibo vero e proprio, che altrimenti arrivi e hanno solo un paio di birre. Ed è quello che noi abbiamo fatto. Pierpaolo aveva il numero della signora e ci siamo accordati per un pollo con inshima (spelling sbagliato credo) che è la polenta locale.
Arriviamo, ci sediamo, due birre e poi: “Where is the food?” domandiamo. “Which food?” risponde sorpresa Mrs Daka, la padrona cicciotta e ridolona. Insomma, Pierpaolo non aveva telefonato alla persona sbagliata, una locandiera di Livingstone, città situata presso le cascate Vittoria? Che infatti aveva messo a cuocere un pollo e c’era anche una bottiglia in frigo, ma 300 km più a sud. Prendendola all’africana, cioè ridendoci su e facendo una telefonata riparatoria di scuse, abbiamo alla fine ordinato il pollo. Fatto arrosto nel barbecue davanti a casa: tempo di preparazione 1 ora e mezza e tre birre. A letto esausti ma sazi.
E il lunedì inizia la settimana di fuoco: un corso di cooperazione condensato.
Lunedì speso in presentazioni. Vado a conoscere quelli con cui dovrò collaborare/lavorare. Siccome la mia controparte locale è la diocesi, ovviamente visita dal vescovo e sottoposti.
E la settimana è volata via. Sveglia tra le 6 e le 6.30, a letto presto, ma non troppo perché la sera si lavorava. Uniche distrazioni: qualche lavoretto in casa; un giro/visita al mitico villaggio di Chipepo, località che farebbe invidia a qualche angolino del lago di Como: niente Clooney, ma camionisti mezzi nudi che lavano il camion nel lago, pesce a 1 euro al chilo, spiaggia chiamata Miami Beach: lunga e bianca, peccato che non si possa fare il bagno per paura di qualche malattia strana (la Bilarzia, ad esempio) o di qualche ippopotamo o coccodrillo; oppure una cena a base di funghi e termiti! Eh si, ho chiesto alla donna delle pulizie di cucinarmi un po’ di termiti fritte e lei, come regalo, me ne ha portate un sacchetto pieno. Vi dico, non sono male, affumicate ricordano i gamberetti, a parte le alucce, le zampine….ahahhahah….mi sento Hannibal the Cannibal.
E comunque passate di qui. Ho un bel giardino, il campo a fianco dove Spoon, il giardiniere/mezzadro, si occupa della coltivazione di arachidi: io compro semi e fornisco il campo, lui coltiva e facciamo a metà col raccolto. Putto, il medioevo nel 2006! Il contratto non l’ho fatto io, ma Pierpaolo, ma avrò tante noccioline da mangiare. E la settimana si è conclusa sabato con un meritato tuffo in piscina, in lodge superfigo in mezzo ad un bosco dove ci sono antilopi e altri animali. E costava pochissimo, si badi bene.
Eh si, si sopravvive come si può.
Ah, vi lascio il mio cellulare, nel caso in cui vogliate chiamarmi (messaggi non posso riceverli): 0026099342254 e il mio indirizzo: Marco Ferrarini c/o Celim Project, P.O. Box 41, Gwembe, Zambia.
Un bacione e fatevi sentire