Monday, October 26, 2009

Foto Danesi
















































eccoci qui al terzo giorno di danimarca.
Ragazzi che avventure.
Dopo un party molto valido sabato sera (tema del party: Oktober fest, come potete vedere dai vestiti dei partecipanti), ieri sono andati con i miei amici Rasmus e Charlotte in barca a vela.
A Copenaghen vive anche il mio buon amico Emanuele, compagno di mille battaglie quando ero giovane e si giocava a basket.
e' stato bello ritrovare anche lui che ormai è stabile in Danimarca.
E come dargli torto? Tempo atmosferico a parte....

Thursday, October 22, 2009

Danimarca

come immaginavo è praticamente impossibile tenere aggiornato il blog con gli eventi presenti e passati, ma io ci proverò. Intanto domani vado in Danimarca per 10 giorni.
Vediamo se riesco a farmi sentire anche da là.

Thursday, October 15, 2009

Blog nord americano

Da oggi metterò online il diario del mio viaggio nordamericano.

Scritti e foto divisi per giorni.

Buona lettura.


Easy driver – ovvero un diario nordamericano di mezza estate


25-08

Possibile essere il 7 agosto a Zanzibar, l’8 in Zambia, il 9 in Italia (Venezia), il 12 in Italia (Selva di Val Gardena), il 23 partire dalle Dolomiti destinazione Pianura Padana e il 25 essere sull’aereo Venezia-New York-Philadelphia? Si. Almeno io l’ho fatto.

Il 24 sera sono venuti Putto e Kim e ci siamo fatti una bella cena con i vecchi sotto il gazebo.
In tarda serata con i 2 giovani siamo riusciti a guardare alcuni video di Burning Man, il festival hippy-techno-trash-art visual e chi più ne ha più ne metta che annualmente, dal 1986, si tiene in Nevada.
Quando Dan mi ha chiamato un giorno di marzo per chiedermi se era vera la mia mail dove gli dicevo che sì, sarei stato tentato di accettare la sua folle proposta di un viaggio on the road americano + festival in mezzo al deserto, non avrei mai immaginato che mi sarei ritrovato dopo nemmeno 6 mesi a preparare 2 valigie con dentro materiale da campeggio, scarponi anti sabbia e vesciche, giacche di lana per il freddo e bermuda per il caldo.
Ero sostanzialmente e totalmente impreparato.
Avevo avuto 6 mesi per accedere ad ogni tipo di informazione ma con la scusa della lentezza della connessione africana sapevo solo che il festival era un evento che richiamava gente da tutto il mondo (anche la festa di S.Antonio o S.Firmin d’altronde, ma supponevo che Burning Man non fosse un santo…errore di valutazione che avrei potuto capire solo qualche giorno più tardi) si svolgeva in mezzo al deserto e la gente girava nuda.
I video che quella sera scorrevano e capolinavano sullo schermo (non mi è mai piaciuto fare capolino) fotografavano una realtà più curiosa e per certi versi perversa: migliaia di persone che affrontavano miglia e miglia di asfalto e turbolenze (per i viaggiatori aerei) per ritrovarsi in mezzo ad una tempesta di sabbia vestiti da perizomici Hobbit seduti su una bicicletta tappezzata (per quanto possa esserlo una bici) di peluche.

E io dovrei andare là in mezzo? pensavo mentre Kim e Putto sbavavano dall’invidia.

Sapevo che dire di sì a Daniel senza appurare per cosa, era sempre stata una scelta rischiosa. Da lì a pochi giorni avrei raggiunto climax mai provati prima.

L’arrivo all’aeroporto era stato normale e monotono. Check in online (che invenzione!) mi aveva evitato code inutili, ma aveva fatto sì che le mie 3 ore di anticipo di trasformassero in un vagabondare tra le pagine distratte di un libro e lo sguardo sulle americane che mi avrebbero accompagnato. Constatando la bruttezza delle seconde, mi sforzavo di concentrarmi sulla bellezza delle prime.

Kim e la sua famiglia, noti viaggitori transoceanici, mi avevano avvertito sulla scadenza che le linee aeree americane avevano raggiunto.
“Devi pagarti anche le cuffie per vedere i film”, mi aveva ammonito Ruth, la mamma, allungandomi le sue, acquistate nell’ultimo volo di agosto.
Ma non ero stato preparato alla vista dell’equipaggio.
Età media: 50.
Peso forma: 90 chili.
Altezza media: 1.70
Colore della pelle: Rubizzo
Il comandante aveva una stazza da marinaio di fregata irlandese, ma la faccia butterata e rubizza e i capelli giallognoli gli davano un’espressione da spaventapasseri delle campagne dell’Inghilterra meridionale ai tempi dei Plantageneti.
Le hostess sembravano uscite da una sitcom americana degli anni ’80, dove c’era sempre una vicina grassoccia messa lì per fare sembrare intelligenti i protagonisti agli occhi dello spettatore.
Il volo ha rispecchiato la prestanza dell’equipaggio.
Sedie scomode, un film per 10 ore di volo, 1 puntata dei Simpsons, 1 documentario, 1 avviso meteo, 1 televisore lontanissimo a fine corridoio.
L’unica nota più o meno intonata al coro era la quasi totale assenza di viaggiatori.
Non dormo mai in aereo, ma questa volta ho fatto un’eccezione e mi sono concesso qualche sprazzo di dormiveglia, in uno dei quali si sono dimenticati di servirmi il pranzo. Svegliatomi ma conscio di avere diritto al mio schifosissimo pasto, mi sono volto al fondo dell’aereo speranzoso e vagamente affamato, solo per sentirmi dire dall’hostess matrona che il mio panino era stato dato a qualche altro viaggiatore, probabilmente venduto ho pensato.

Una volta atterrato ho dovuto superare i mastini dell’immigrazione. Mastini non tanto per l’aspetto fisico, seppur le loro spalle fossero di media 3 spanne più larghe delle mie, ma per il benvenuto. Mancava solo l’azzannamento polpaccio incluso nel “welcome to America”: foto, impronta digitale (leghisti dilettanti! Qui non servono leggi e dibattiti parlamentari, c’è il terrorismo no?), interrogatorio di sesto grado, con dettagli utili a svelare una crepa nelle eventuali balle e bugie dell’interrogato: cosa facevi in Africa, dove hai conosciuto gli amici da cui vai, cosa hai studiato all’università, come si chiama l’organizzazione per cui lavoravi. Ora sappiamo che anche il CeLIM è sbarcato a New York, quasi da clandestino però.
Nella successiva attesa di 5 ore ho girovagato per l’aeroporto, mi sono fiondato ad un China/Asian Wok, scelta molto corretta ed altrettanto unta.
Ho provato l’ebbrezza di leggere un intero articolo del New Yorker, impresa riuscita in precedenza solo a Woody Allen credo, mi sono puntato la sveglia per non perdere l’aereo per New York, ho scrutato la popolazione del non luogo con curiosità ma attenzione a non essere scoperto (l’America ti fa diventare paranoico in tempi ragionevolmente veloci).
L’aereo per New York si è rivelato essere un simpatico biplano. Rumoroso e scomodo, ma la brunetta austriaca che era seduta sul mio fianco (i sedili erano stretti) mi ha allietato il volo con un’interessante conferenza sui modelli dei Boeing. Studente di Ingegneria aerospaziale a Vienna.
Il La Guardia è un piccolo aeroporto in cui i bagagli dei viaggiatori vengono trasportati direttamente nella sala di arrivo. In questo modo qualsiasi passeggero può vedersi la sua bella valigia scippata da un taxista o da qualsiasi altra persona in transito.
Dunque: ti fanno mille controlli all’entrata, misure antiterrorismo, foto segnaletica…e chiunque può entrare all’aeroporto e fregarti il bagaglio senza controlli?
Dan era già lì ma, da simpatico burlone, si è precipitato ad abbracciare non me, ma la povera ragazzina austriaca che ha schivato l’abbraccio per fuggire tra le braccia del suo ragazzo appostato un po’ più avanti.
“Perché volevi abbracciarla?” – “Boh, pensavo fosse una tua amica”
Abbiamo preso un taxi con TV incorporato al sedile (pare che ora l’abbiano tutti) e poi via verso Harlem.
A casa Kate ci attendeva in doccia, cioè lei non ci attendeva a dire il vero, ma era comunque in doccia con tutte le porte spalancate. Fortuna (per lei) che il bagno non dia sulla porta d’ingresso.
Dan ha cucinato una pasta buona e dopo diverse discussioni si è deciso di non uscire.
La notte per me è comunque durata poco, visto che il jet lag mi ha risvegliato alle 5.30.

Wednesday, October 07, 2009

Lodo Alfano

Ieri c'è stata la sentenza sul Lodo Alfano, dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale.

Tra i vari commenti che in queste ore giornalisti e politici si affrettano a dire e scrivere, ho trovato interessante ed esaustivo quello di Ezio Mauro sulla Repubblica di oggi.



ERA dunque incostituzionale il lodo Alfano, come abbiamo sempre sostenuto, in un Paese dove è saltata l'intercapedine liberale, e l'estremismo del potere viene benedetto da un finto establishment e dai suoi cantori, incapaci di richiamare il rispetto delle regole perché incapaci di ogni responsabilità generale. Ecco dunque il risultato. Il presidente del Consiglio, insofferente dell'autonoma e libera pronuncia di un supremo organo di garanzia, che opera a tutela della Carta fondamentale, dà fuoco alla Civitas e al sistema dei poteri che la regola, travolgendo nelle sue accuse la Corte, la magistratura e persino il capo dello Stato. Un gesto certo di disperazione, ma anche la prova dell'instabilità istituzionale di questo leader che nessuna prova di governo, nessun picchetto d'onore, nessun vertice internazionale è riuscito a trasformare, quindici anni dopo, in uomo di Stato.

Terrorizzato dai suoi giudici, e più ancora dal suo passato, il premier non si è accorto di reagire pubblicamente alla sentenza della Corte come se fosse una condanna. Prima che la grande mistificazione d'abitudine cali sui cittadini dal kombinat politico-mediatico che ci governa, è bene ricordare due aspetti.

Prima di tutto, la Corte ha sollevato un problema di merito e uno di metodo, combinandoli tra di loro, e nel farlo ha guardato soltanto alla Costituzione, com'è sua abitudine e suo dovere. Nel merito, il lodo Alfano viola l'articolo 3 della Costituzione, che vuole tutti i cittadini uguali di fronte alla legge, qualunque sia il loro incarico, il loro potere, la loro ricchezza. Proprio per questa ragione - e siamo al metodo - se si vuole sottrarre alla legge il Presidente del Consiglio occorre adottare una norma di revisione costituzionale, e non una norma ordinaria. Dunque il Lodo è illegittimo, perché viola gli articoli 3 e 138 della Costituzione.

Il secondo aspetto riguarda il clima di lesa maestà che ha incendiato la serata della destra, dopo la pronuncia della Corte, come se il Capo del governo fosse stato consegnato dalla Consulta ai carabinieri. In realtà, anche se nessuno lo ricorderà oggi, è doveroso notare che il Primo Ministro attraverso questa sentenza costituzionale viene restituito allo status di normale cittadino, con la piena titolarità dei suoi diritti e naturalmente dei doveri: semplicemente, e com'è giusto e doveroso, dovrà rispondere ai giudizi che lo riguardano pendenti nei Tribunali, che il lodo aveva provvidamente sospeso.

Con questo status e in quelle sedi, uguale a tutti gli altri italiani che sono chiamati in giudizio per rispondere di reati, potrà far valere le sue ragioni, nel rispetto della legge ordinaria: che intanto - e non è cosa da poco - torna da oggi uguale per tutti.

Il puro riferimento alla Costituzione rende limpida la decisione della Corte. Ma oggi che cade il privilegio regale attribuito dal Premier a se stesso (rex è lex, anzi "non c'è limite legale al potere del re, vicario di Dio sulla terra", come diceva Giacomo I nel 1616) bisogna pur notare che quella specialissima guarentigia non era una norma esistente nel nostro ordinamento, ma una legge apposita costruita dal Presidente del Consiglio in fretta e furia per sfuggire al suo giudice naturale e alle sentenza ormai prossima per un reato commesso quando ancora era un semplice imprenditore, lontano dalla politica.

In una formula - aberrante, e salutata con applausi soltanto in Italia - si potrebbe dire che il Capo dell'esecutivo ha in questo caso usato il legislativo per sfuggire al giudiziario, fabbricando con le sue mani e con quelle di una maggioranza prona un salvacondotto su misura per la sua persona, in modo da mantenere il potere senza fare i conti con la giustizia.

La Corte non ha ovviamente considerato questo aspetto che è rilevante dal punto di vista della morale pubblica, della coscienza privata, dell'autorevolezza politica, ma non ha valore Costituzionale. Alla Corte è bastato rilevare ciò che il Paese (e anche alcuni giornali) non volevano vedere: e cioè che attraverso questa procedura d'eccezione, proterva e insieme impaurita, il Premier violava il principio fondamentale del nostro ordinamento che vuole i cittadini uguali di fronte alla legge. Nel ribadirlo, la Corte ha fatto semplicemente giustizia costituzionale. Ma non si può tacere che per giungere a questa pronuncia i giudici della Consulta hanno dovuto nella loro coscienza individuale e di collegio dare prova di libertà intellettuale e personale e di autonomia istituzionale: perché in questo sfortunato Paese sulla Corte Costituzionale, prima della pronuncia, si è abbattuta una tempesta di intimidazioni, di preavvisi e di minacce che tendeva proprio a coartarne la libertà e l'autonomia.

Se è ancora consentito dirlo, in mezzo agli strepiti, la democrazia ha invece dimostrato ieri la sua forza di libertà. Non tutto si lascia intimidire dalla violenza del potere e dei suoi apparati, nell'Italia 2009, non tutto è ricattabile, non tutto è acquistabile. Pur in epoca di poteri che si sentono sovraordinati a tutti gli altri, fuori dall'equilibrio istituzionale della Carta, pur in anni sventurati di unzione del Signore, pur davanti a legali-parlamentari che teorizzano per il Premier lo status nuovissimo di "primus super pares", vige ancora la Costituzione nata con la libertà riconquistata dopo la dittatura, e vige la sua trama di equilibri tra i poteri di una democrazia occidentale. Esistono ancora, anche in questo Paese che ha cupidigia di sovrani e di dominio, gli organismi di garanzia, essenziali nel loro equilibrio e nella loro responsabilità super partes, nonostante gli attacchi irresponsabili dei qualunquisti antipolitici e di quelle opposizioni interessate a lucrare soltanto qualche decimale elettorale in più.

E infatti la reazione rabbiosa del Presidente del Consiglio è tutta contro gli organi supremi di garanzia. La Corte, ridotta per rabbia iconoclasta a congrega di uomini di sinistra. E soprattutto il Capo dello Stato, additato al Paese e al popolo di destra - aizzato irresponsabilmente - come un uomo di parte ("sapete tutti da che parte sta") in uno sfogo sovraeccitato in cui tornano tutti i fantasmi fissi del berlusconismo sotto schiaffo, i magistrati, il Quirinale, la Consulta, i giornali, in un crescendo forsennato di "sinistre", "rossi" e "comunisti": per concludere con il titanismo spaventato di un urlo ("Viva l'Italia, viva Berlusconi") che rivela la concezione grottesca di un Premier che vede se stesso come destino perenne della Nazione.
Napolitano ha risposto ribadendo prima il rispetto per la pronuncia della Corte, poi ricordando che il Capo dello Stato sta, molto semplicemente, con la Costituzione. Viene da domandarsi piuttosto dove sta il Capo del governo, rispetto alla Costituzione, cioè al regolare gioco democratico tra le istituzioni. Ieri ha detto che il modo in cui i giudici costituzionali vengono designati altera l'equilibrio tra i poteri dello Stato: proprio lui che in pochi minuti ha tentato di delegittimare tre magistrature, attaccando i giudici, il Quirinale e la Corte. E siamo solo all'inizio.

Il peggio, infatti, deve ancora accadere. Altro che andare alle urne, come minacciavano nei giorni scorsi gli uomini di destra per far pesare il rischio di ingovernabilità e instabilità sulla Corte. Ieri Berlusconi si è affrettato a dire che il governo è solidissimo come la sua maggioranza, e andrà avanti. In realtà il Premier soffre il suo indebolimento progressivo, sente il rischio dei processi sospesi che tornano a pretendere il loro imputato, avverte soprattutto il peso della corruzione che la sentenza civile sulla Mondadori gli ha scaricato addosso, è consapevole di aver politicamente azzerato negli scandali dell'estate la forza della sua maggioranza parlamentare, sa che il suo sistema non produce più politica da mesi, prigioniero com'è di una vicenda di verità e di libertà.

Non è la Corte che lo denuda: è l'incapacità politica di fronteggiare la sua storia personale, nel momento in cui nodi grandi e piccoli vengono al pettine e l'unica reazione è la furia contro certi giornali. Il futuro del Premier dipende proprio da questo, dalla capacità di un'assunzione convincente di responsabilità, di fronte alla giustizia, al parlamento, alla pubblica opinione: finora non è stato capace di farlo, o forse non ha potuto farlo. Ed è per questo che con tutta la propaganda dei sondaggi che lo circonda, il Capo del governo sente che tutto il sistema politico è al suo capezzale, e ogni giorno gli tasta il polso politico.

Tutto è possibile, in questo quadro, soprattutto il peggio. Ma intanto ieri quindici giudici hanno ricordato al Premier che pretende di rappresentare il tutto, in unione col popolo, che esiste ancora la separazione dei poteri: quando non c'è più, avvertiva Norberto Bobbio quindici anni fa, ciò che comincia è il dispotismo.

Da un bel libro che ho appena finito di leggere

Cari amici,

oggi desideravo condividere con voi le parole di Umberto Ambrosoli, figlio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso nel luglio del 1979 (qualche giorno prima che io nascessi) da un killer pagato da Michele Sindona, banchiere e figura di spicco della finanza italiana degli anni ’60 e ’70, sul cui collasso finanziario (e conseguenti accuse di bancarotta fraudolenta) Ambrosoli stava lavorando da anni.
Un “eroe borghese” lo definì Corrado Stajano nel suo libro del 1991.
Ucciso solo perché aveva fatto il suo dovere di cittadino e si era trovato di colpo “a fare politica …in nome dello Stato e non per un partito”.
Ucciso perché non si era lasciato corrompere, intimidire dalle minacce, fermare dai ricatti.
Ho avuto la fortuna quest’estate di conoscere di persona Gherardo Colombo, ex PM del pool di Milano, che oggi gira l’Italia parlando ai bambini, giovani, uomini e donne di legalità, giustizia, regole.
Questo venerdì a Rovigo ci sarà una conferenza con Gherardo Colombo, Giuliano Turone (ex PM e attore teatrale) e appunto il figlio di Ambrosoli, Umberto.
Per chi fosse nelle vicinanze di Rovigo, la possibilità di partecipare ad un evento un po’ diverso da uno spritz in piazza, una serata danzante o un film al cinema.
Per chi non potrà venire, consiglio la lettura del libro di Umberto “Qualunque cosa succeda” sulla storia del padre.

Alla prossima

Da “Qualunque cosa succeda”, Umberto Ambrosoli, Sironi editore, 2009.

In questo contesto, al di là delle collocazioni cronologiche Giorgio Ambrosoli, la sua storia, le sue scelte restano un monito – speranza o vergogna – contro l’elusione della regola, a scapito del bene comune e in favore dell’interesse particolare: che sia di una persona, di una categoria, di un gruppo o di un partito. Una sorpresa per gli scettici, convinti che, raggiunta una determinata posizione di “potere”, non possano darsi pratiche oneste e conformi al dovere. Uno sprone per i rassegnati che davanti alle illegalità diffuse a ogni livello pensano di poter solo dire “ questo è il sistema, cosa vuoi che possa farci io?”.
Una smentita per i cinici che abdicano alla propria responsabilità e rinunciano alla libertà in nome dell’adeguamento a un certo stile di potere, nella convinzione che non sia possibile desiderare altro e che tutti aspirino a fare come loro.
Invece il sorriso di mio padre dice che non è affatto scontato che tutti abbiano un prezzo di scambio. Non bisogna fare l’errore di pensarlo, perché c’è una parte del Paese, come già lui a suo tempo, che senza guerre sante, anche nella solitudine, sa essere libera, consapevole, coerente: qualunque cosa succeda.
“Non si comincia dal tetto a fare le case” ha dichiarato Silvio Novembre* nel 1995 “ bisogna fare anche il lavoro umile, che è quello che porta le basi. Molto probabilmente noi abbiamo posto soltanto un piccolo granellino che non è andato disperso. Noi abbiamo fatto qualcosa che ha rotto una certa consuetudine, un certo modo di pensare. E anche se è rimasto oscuro ai più, però le inchieste sono state fatte e portate a termine”.
E anche se in quel caso il sistema pareva onnipotente, invece ha vinto l’antisistema.


Senza la coscienza dei singoli che scelgono di rispettare le norme e con esse la convivenza civile, le leggi da sole non bastano a salvare una società.



* Ufficiale della Guardia di Finanza che collaborò con Ambrosoli nell’indagine sulla bancarotta delle Banche di Sindona