Tuesday, March 23, 2010

Ufficio sweet Ufficio

La mia latitanza dal gioioso mondo della rete si può spiegare velocemente: non ho ancora internet in ufficio e saltello da internet point a internet cafè con puntate al portatile della mia collega che internet l’ha. Come mai? Perché la chiavetta USB internet in dotazione dalla locale compagnia telefonica funziona con Windows ma non con Mac. Steve Jobs amico dell’Africa? Non proprio.

Ne sono successe di cose in questo mese e mezzo: abbiamo assunto tutto lo staff (8 persone più 3 guardiani notturni), abbiamo aperto ufficialmente il progetto con la presenza delle autorità politiche e il personale del ministero dell’agricoltura con cui collaboreremo, ho trovato casa, sono stato qualche weekend a Lusaka, nella “movida” locale (chi legge e sa come è Lusaka può immaginare).

In particolare il 6 marzo sono stato invitato ad un compleanno di una svedese conosciuta ad una cena, che offriva, alla maniera svedese (io metto la cena, voi –invitati – portate da bere), un party in un locale all’aperto di Lusaka con band reggae zimbabwana. Il party è stato carino, ma per spiegarvi l’assenza di divertimento a Lusaka, se n’è parlato nei giorni successivi come se fosse stata una festa organizzata nella reggia di Mike Tyson con gli Strokes in concerto gratuito.

Sono andato ad abitare in una nuova casa, dopo che per un mese Lucia mi ha ospitato da lei. La casa in questione è in realtà un villone con giardino tropicale attiguo, poco in linea con le precedenti abitazioni in cui avevo vissuto in Zambia.
Le ragioni perché ho deciso di abitare in una casa del genere (appena ho una connessione decente allego foto) sono molteplici: 1) dopo più di un mese di ricerche, non avevo trovato nessun’altra casa. La crisi alloggi in Zambia è drammatica. Anche i miei dipendenti sono quasi accampati a casa di parenti e amici perché non trovano case libere, 2) Il prezzo che mi hanno proposto è molto buono. Ho dovuto però discutere un’ora e mezza con il proprietario indo-zambiano, che univa la flemma africana alla capacità imprenditoriale indiana. Un mix durissimo da superare, 3) la zona è molto sicura, ho come vicini la locale moschea [con simpatica sveglia alle 5 tutte le mattine per la preghiera] e al lato sinistro i “signorotti” locali, tale potentissima famiglia che è proprietaria di metà Mazabuka, la cittadina dove abito, 4) ho tante stanze dove posso ospitare amici/parenti.

Il 90% degli abitanti della via sono indo-zambiani, il che mi dà impressione di essere a Springfield circondato dai parenti di Aphu. Ognuno dei vicini ha la sua particolarità: c’è il cacciatore che gira con fucile Beretta in macchina - “ogni tanto vado a sparare ai cani o alle persone che tentano di rubare gli animali dalla mia fattoria” –; c’è il pescatore che mi invita ad andare al lago con lui “Non ti piace pescare? Non c’è problema, io pesco tu ti rilassi”; c’è il marito dell’insegnante di aerobica e yoga che dice che ho bisogno di andare in palestra da loro, ci sono le figlie dei vicini che spiano dalle finestre “Non sei sposato? Peccato!”, ci sono le madri che spiano dalle finestre “Mi sono subito informata per sapere se il nostro nuovo vicino era un bel ragazzo. Ho delle figlie che non sono sposate”. “Ah, quanti anni hanno signora?” “Quindici”. “Gasp, anche per i miei standard sono un po’ giovani” “In India sarebbero già sposate!” e via dicendo.

Quando non sono a godermi l’ombra dell’albero di cocco (pericolosissimo, se ti cade in testa una noce si rischia la morte), sono al lavoro. L’ufficio è stato trovato pure quello, in un compound vicino alla parrocchia. Curioso che Lucia abiti vicino alla Chiesa e io alla Moschea. I lavori di ristrutturazione fervono e mentre vi scrivo i muratori stanno alzando il muro di cinta. Ogni giorno siamo assaltati da decine di bambini, ai quali abbiamo cambiato il corso delle giornate. L’altro giorno Andersson, uno dei grandi del gruppo, 8 anni, mi ha detto che quando torna a casa da scuola non vede l’ora di venire a giocare davanti al cancello dei “Muzungu”, ossia dei bianchi.
Gli altri, Evans, Big Tom, Big John, fanno gara per chi deve pulire le foglie davanti al cancello (ottima manodopera a basso costo, contenti loro…), o a chi riesce a stare in bilico sul cofano della macchina, o chi pronuncia meglio (e ad alta voce!) il nostro nome: Marico e Lusia.
Poi c’è un bambino, che avrà 4 anni che ogni volta che ci vede inizia ad intonare: Blavi, blavi, blavi, blavissimi. Ho scoperto che d’estate vengono dei volontari italiani a fare una specie di grest.
Iniziare le giornate con un nanerottolo sporcaccioso che, correndoti incontro ti urla: Marico, blavi blavi blavi blavissimi!, seguito da un’orda di barbari di un metro e venti che usano il mio fisico tutt’altro che scultoreo come Tarzan usa le liane nella giungla, dà assolutamente la carica. Non so a me, ma di sicuro ai bambini!