Friday, February 26, 2010

dall'Unità

ciao,

ho letto di recente un'interessante intervista dall'Unità a Beppino Englaro.
Credo che condividerla sia un bel modo di ricordare Eluana a poco più di un anno dalla sua scomparsa (o liberazione, come dice suo padre).
La legalità, anche vista dall'africa, non è la via più semplice.

marco che scrive da internet caffè mentre suda copiosamente (30 gradi e umido...)


Ho seguito la legge e in Italia può dare fastidio»
di Luca Landòtutti gli articoli dell'autore
La sorpresa più brutta? «La politica». Quella più bella? «I miei amici friulani». Non ha dubbi Beppino Englaro. Non li ha mai avuti in tutti 6233 giorni, contati uno per uno, che ci sono voluti per liberare sua figlia Eluana (dice proprio così, liberare) da un corpo finito nelle mani della medicina e della tecnologia ma che sicuramente non era più suo. «La mia fortuna è che Eluana aveva le idee chiarissime. Era uno spirito libero. Se voleva una cosa non la fermavi nemmeno con le cannonate. La libertà ce l’aveva nel sangue, nel Dna. Questo mi ha dato la forza per andare avanti, giorno dopo giorno, a chiedere che finisse quel calvario ingiusto e senza senso. Ci sono voluti diciassette anni».

Un’eternità...
«È il prezzo che si paga in questo Paese quando si vogliono fare le cose alla luce del sole, nella legalità. Ma anche su questo non ho mai avuto dubbi: mi sono rivolto alla legge per sapere come dovevo comportarmi. Perché quello che è accaduto a noi non riguardava solo la famiglia Englaro, ma l’Italia tutta, come comunità. C’era un fatto drammatico e difficile che bisognava affrontare: il caso ha voluto che toccasse noi, ma il problema era di tutti. Così ho girato la domanda alla legge. Quando ho capito che per Eluana non si poteva escludere di andare incontro allo Stato vegetativo permanente, ho iniziato a chiedere ai medici con quale diritto la tenessero in quello stato così assurdo: lontana dalla morte, lontana dalla vita. Ma, soprattutto, in uno stato che lei non avrebbe mai voluto: che Paese è quello in cui la volontà di un cittadino non conta niente?».

Torniamo a un anno fa. In Parlamento, alla notizia della morte di Eluana scoppiò una battaglia. Gasparri e Quagliariello parlarono di omicidio.
«Non furono gli unici. Alla Procura di Udine giunsero tantissime denunce da parte di associazioni e singoli cittadini che mi accusavano della morte di mia figlia. È per questo, per questo “diluvio di denunce” come scrisse il Gip, che la Procura aprì un’inchiesta su di me e su altri 13 indagati tra cui il medico De Monte». Inchiesta archiviata. «Sì, lo scorso 11 gennaio con un decreto del Gip di Udine Paolo Milocco».

Omicidio... avete denunciato chi vi ha lanciato accuse così gravi?
«Gli avvocati Angiolini di Milano e Campeis di Udine stanno valutando se ci siano gli estremi per i reati di diffamazione e ingiuria».

Anche contro Gasparri e Quagliariello?
«Contro chiunque ci abbia accusato ma, ripeto, lo decideranno gli avvocati».

Poco prima della morte di Eluana lei invitò Napolitano e Berlusconi al capezzale di sua figlia, perché?
«La vicenda stava diventando insostenibile. Era in atto un follia generale che ci stava portando lontani dalla realtà: Eluana era diventata una scusa, il capro espiatorio di uno scontro molto alto e violento, addirittura un conflitto tra istituzioni. Li invitai a Udine perché si rendessero di che cosa stavamo parlando, di quali fossero reali condizioni di Eluana».

Non venne nessuno.
«No, però Napolitano rispose coi fatti: facendo sapere che non avrebbe firmato il decreto che impediva l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione forzata».

E Berlusconi?
«Non si presentò. In compenso decise di rompere un silenzio che durava da anni. E fu una scelta singolare. Vede, nel 2004 avevo inviato una lettera alle alte cariche dello Stato perché si occupassero del caso di Eluana. I presidenti di Repubblica e Senato, Ciampi e Pera, risposero con una lettera cortese; il presidente del Consiglio Berlusconi non rispose nemmeno».

Dissero che non l'aveva mai ricevuta.
«È falso. Mandai quella lettera il 4 marzo per raccomandata e sulla ricevuta di ritorno, che conservo, c'è scritto 10 marzo. Quella lettera arrivò regolarmente. Ma la questione è un'altra: a un certo punto Berlusconi cambia atteggiamento, esce dal silenzio e interviene, politicamente e mediaticamente, per bloccare quello che la Cassazione aveva deciso, cioè la possibile sospensione della nutrizione e della idratazione artificiale».

Fu quando Berlusconi disse che Eluana stava bene, poteva avere un figlio e che lui, come padre, non avrebbe mai staccato la spina...
«Esattamente. Eppure il premier sapeva perfettamente quali fossero le condizioni di mia figlia. Lo so perché aveva parlato con il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, e con il senatore Ferruccio Saro: entrambi erano stati nella stanza di Eluana ed entrambi gli avevano detto come stavano realmente cose. Berlusconi parlò in quel modo per altri motivi, probabilmente per le pressioni delle forze più integraliste della maggioranza o di altre ancora».

Il Vaticano?
«L’intervento della Chiesa è nei fatti. Basta rileggere le frasi pronunciate dalle alte gerarchie, da Barragan a Bagnasco a Crociata, che parlavano di eutanasia contraddicendo quello che la suprema Corte di cassazione aveva appena affermato con una sentenza. Hanno mancato di rispetto non solo a me ma anche alle istituzioni».

Ha più visto le suore di Lecco?
«Certamente. Con loro c’è sempre stato un rapporto aperto. Tra l’altro Eluana era nata proprio lì, perché agli inizi quella era una clinica di maternità. Quando ci fu l’incidente, tornai da loro perché sapevo che l’avrebbero curata nel migliore dei modi. Le conosco bene quelle suore, e loro conoscono bene me. Per questo mi è sembrò crudele quella frase sui giornali e in tv: ce la lasci che la curiamo noi. Sapevano benissimo che una volta ottenuto il permesso dalla magistratura non avrei aspettato un minuto di più. Solo che anche loro, a un certo punto, cambiarono atteggiamento. Ma lo capisco: prima il rapporto era tra me e loro. Poi si sono messe di mezzo troppe persone, troppe questioni».

Rifarebbe tutto nello stesso modo?
«Non c’era altra strada. Ovviamente se vuoi muoverti nella legalità e alla luce del sole. Cioè nel rispetto delle leggi che una comunità di persone si è data. Nella Costituzione, insomma».

Poco dopo la morte di Eluana, il Corriere della Sera pubblicò un editoriale di Pier Luigi Battista in cui la accusava di aver infranto quella “zona grigia” che permette di risolvere alcune situazioni mediche o insostenibili. Nessuno dice niente, ma intanto si aumenta la dose di morfina...
«Sono rimasti spiazzati perché tutta la vicenda è stata condotta nella legalità. E questo ha dato fastidio. Perché in Italia c’è l’abitudine a cercare sotterfugi e vie traverse, la zona grigia appunto».

Dopo la morte di sua figlia ha deciso di dar vita all’associazione «Per Eluana», sta andando avanti?
«Diventerà operativa la prossima settimana con uno scopo preciso: diffondere la conoscenza e combattere i pregiudizi. Su questi argomenti, ovviamente, che sono delicati e complessi, ma sempre più importanti. Joseph Pulitzer diceva che un’opinione pubblica ben informata è la nostra corte suprema. Io non cito mai massime, ma quella frase è il motore della Fondazione. Io per arrivare alla nostra Corte Suprema, la Cassazione, ci ho messo quindici anni. Con una opinione pubblica ben informata, e un Parlamento più attento, ci avrei messo molto meno a ottenere le risposte che cercavo».

Il punto è che mancavano gli strumenti giuridici...
«Già, viviamo in uno Stato di diritto ma in quel momento mancavano i principi del diritto. Per averli, quei principi, ho dovuto aspettare la sentenza del 16 ottobre 2007. E la sentenza è stata chiara: nessuno ha il potere di imporre una terapia contro la volontà del paziente. Nessuno. La volontà del malato, anzi del cittadino, viene prima di ogni cosa».

Questo Paese riuscirà a diventare davvero civile?
«Ne sono convinto. Per due motivi. Il primo è che il clima culturale sta cambiando: la gente comincia a capire l'importanza di questi argomenti e prende posizione. La seconda è che ci sono magistrati che vanno avanti per la loro strada indipendenti da ogni potere politico. Sulla vicenda di Eluana ho scritto due libri, il primo l’ho dedicato a Sati, mia moglie, che si è consumata, letteralmente, per stare vicino a sua figlia in tutti questi lunghissimi anni. Il secondo, uscito pochi mesi fa, l’ho dedicato proprio a loro, ai magistrati indipendenti».

Su di lei si è detto molto, anche troppo. Ad esempio che voleva sfruttare la notorietà ed entrare in politica.
«Niente di più falso. L’unico atto politico è stato il mio appoggio al senatore Marino quando si candidò alla segreteria del Pd. Perché un medico come lui che si dedica alla politica non capita spesso. È una persona che sa andare oltre, come dico io. E per appoggiarlo ho preso la tessera del Pd, io che sono socialista e di tessere non ne ho mai avute. Tutto qui».

Adesso si dirà della canzone su Eluana che Povia porterà a Sanremo.
«Mi è venuto a trovare per chiedermi, correttamente, se avevo qualcosa in contrario. Ho conosciuto la persona, mi è piaciuta e mi sono fidato. Così ho detto che non avevo nulla in contrario».

Ritornando a un anno fa, qual è stata la sorpresa più negativa?
«Il comportamento di certa politica. A cominciare dal Presidente della Regione Formigoni, quando impose alle cliniche della Lombardia il divieto togliere il sondino a Eluana. E il ministro del Welfare Sacconi, che di fatto estese quel divieto a livello nazionale giocando sul ricatto delle convenzioni statali. Ma come: per anni il mondo politico se ne era infischiato del mio caso e quando finalmente si muove, lo fa solo per bloccare tutto, per mettere i bastoni tra le ruote...».

Una sorpresa positiva?
«I miei amici del Friuli Venezia Giulia. È stata la sorpresa più bella. Io sono sempre stato orgoglioso delle mie radici e scoprire che dentro la mia regione c’erano tutte queste persone disposte ad aiutarmi è stato il massimo: Renzo Tondo, Ferruccio Saro, Gabriele Renzulli, Ines Domenicali, presidente della clinica La Quiete. E Furio Honsell, il sindaco di Udine. Ricordo bene quando le regioni e le cliniche facevano marcia indietro, una ad una. Ma i miei amici, i miei vecchi compagni socialisti non mi hanno lasciato solo, non mi hanno tradito. Questo, almeno, è stato bello».

Monday, February 08, 2010

Africa again, home sweet home

Carissimi,

Sono tornato da poco più di una settimana in Zambia e potrei raccontarvi di quanto verde è tutto il paese, causa la stagione delle piogge, oppure il caldo afoso che ci attanaglia, oppure della gentilezza delle persone e del caldo bentornato che mi hanno dato. Il tempo per scrivere, almeno fintanto che non avrò un internet decente, è però poco.
E’ stata una settimana intensa e ora mi sento come se mi fossi svegliato da un sogno durato solo poche ore e non quasi 6 mesi. Tutto è quasi uguale, ed è bellissimo notare che alcune sensazioni si erano solo sopite e non erano scomparse.
Ma per darvi un’idea quasi tangibile di cosa vuol dire lavorare qui, di quali sono le sfide anche culturali che ho di fronte quasi giornalmente, eccovi un resoconto di un incontro semi-ufficiale che io e la mia collega Lucia abbiamo avuto la settimana scorsa e che mi ha fatto pensare: “Eh si, sono tornato in Zambia!”.

Giovedì abbiamo incontrato una delle cariche politiche più alte di uno dei District (regione) dell'area progettuale dove lavoro, una sorta di Governatore regionale , un Formigoni locale. Carica di nomina politica e non eletta dai cittadini. Tenete presente questo particolare, sarà importante più tardi.

Lucia, prima di entrare, mi avvisa che il personaggio è da prendere con le molle. Non aggiunge molto di più, e già mi preoccupo.
Arriviamo davanti al suo ufficio e la segretaria non c’è. Ci accoglie un tipo che ci annuncia e ci fa entrare.
All’interno della stanzona si “erge” (anche se è sdraiato su un divano) una specie di brucaliffo barbuto, scalzo e con un completo alla“La Stangata”, ma senza essere figo come Robert Redford o Paul Newman.
Si scusa per essere scalzo: “Ho delle vesciche”, si giustifica.
Ovviamente si stava grattando i piedi e smette solo per darmi una calorosa stretta di mano. E noi che in Europa ci imparanoiamo con le mani strofinate con l’Amuchina e la paura dell’H1N1. Pivelli che siamo!
Ci sediamo nel solito divano sfondato mentre nell’ufficio risuona la voce di Radio Mazabuka che gracchia e ogni tanto copre le nostre voci.
Mentre lui si scrosta le dita dei piedi (questa volta senza scusarsi), inizio a presentarmi, a dire quanto sono felice di incontrarlo, quanto bello sarà lavorare assieme etc.
Mi lascia parlare, e poi guardando Lucia: “Gli hai detto che voglio andare in Italia?”. E giù ad elencarci tutti i luoghi sulla terra dove ha vissuto: Cape Town, Windhoek, Cina etc.
“Ma ora devo venire in Italia, ci sono i migliori calciatori del mondo, anche se fa freddo”.
E via con una disquisizione alquanto dotta sulla differenza tra tattiche del Brasile e dell’Italia, concludendo: “I brasiliani sono forti perché hanno radici in Angola e Mozambico, come i francesi, che per giocare nella squadra nazionale basta parlare francese e sono tutti neri anche loro. Voi italiani invece giocate solo con gente del vostro paese vero?”
Non era il caso di discutere con lui riguardo al concetto di cittadinanza ovviamente, o che Zico e Kakà non assomigliano a dei Mozambicani, piuttosto che mio padre, che parla francese, non potrebbe mai essere selezionato per giocare con Zidane.
Mentre questo dialogo surreale procedeva, continuava ad entrare gente interrompendo senza problemi, mentre lui avrà ricevuto 20 telefonate in 10 minuti, continuando a grattarsi le piante dei piedi. Se doveva fare qualcosa, tipo spegnere la radio, urlava il nome dello schiavetto fuori dalla porta, che correndo entrava e spegneva la radio. Ma alzarti tu no, eh?
Dopo averci detto che il figlio di un ministro sarebbe stato interessato a lavorare per noi, che avremmo dovuto incontrarci in un momento ufficiale (leggi: pagatemi pranzo) che alla fine del progetto sarebbe volentieri venuto in Italia, ha finito con queste esatte parole:
“Nel 2006 mi sono presentato alle elezioni ma la gente non mi ha votato - chissà perchè, aggiungo io - poi per fortuna nel 2008 il Presidente mi ha scelto direttamente ed ora sono qua.”
E, compiaciuto, ci ha ristretto vigorosamente la mano e ci siamo congedati.

T.I.A. This Is Africa, one more time.