Monday, February 08, 2010

Africa again, home sweet home

Carissimi,

Sono tornato da poco più di una settimana in Zambia e potrei raccontarvi di quanto verde è tutto il paese, causa la stagione delle piogge, oppure il caldo afoso che ci attanaglia, oppure della gentilezza delle persone e del caldo bentornato che mi hanno dato. Il tempo per scrivere, almeno fintanto che non avrò un internet decente, è però poco.
E’ stata una settimana intensa e ora mi sento come se mi fossi svegliato da un sogno durato solo poche ore e non quasi 6 mesi. Tutto è quasi uguale, ed è bellissimo notare che alcune sensazioni si erano solo sopite e non erano scomparse.
Ma per darvi un’idea quasi tangibile di cosa vuol dire lavorare qui, di quali sono le sfide anche culturali che ho di fronte quasi giornalmente, eccovi un resoconto di un incontro semi-ufficiale che io e la mia collega Lucia abbiamo avuto la settimana scorsa e che mi ha fatto pensare: “Eh si, sono tornato in Zambia!”.

Giovedì abbiamo incontrato una delle cariche politiche più alte di uno dei District (regione) dell'area progettuale dove lavoro, una sorta di Governatore regionale , un Formigoni locale. Carica di nomina politica e non eletta dai cittadini. Tenete presente questo particolare, sarà importante più tardi.

Lucia, prima di entrare, mi avvisa che il personaggio è da prendere con le molle. Non aggiunge molto di più, e già mi preoccupo.
Arriviamo davanti al suo ufficio e la segretaria non c’è. Ci accoglie un tipo che ci annuncia e ci fa entrare.
All’interno della stanzona si “erge” (anche se è sdraiato su un divano) una specie di brucaliffo barbuto, scalzo e con un completo alla“La Stangata”, ma senza essere figo come Robert Redford o Paul Newman.
Si scusa per essere scalzo: “Ho delle vesciche”, si giustifica.
Ovviamente si stava grattando i piedi e smette solo per darmi una calorosa stretta di mano. E noi che in Europa ci imparanoiamo con le mani strofinate con l’Amuchina e la paura dell’H1N1. Pivelli che siamo!
Ci sediamo nel solito divano sfondato mentre nell’ufficio risuona la voce di Radio Mazabuka che gracchia e ogni tanto copre le nostre voci.
Mentre lui si scrosta le dita dei piedi (questa volta senza scusarsi), inizio a presentarmi, a dire quanto sono felice di incontrarlo, quanto bello sarà lavorare assieme etc.
Mi lascia parlare, e poi guardando Lucia: “Gli hai detto che voglio andare in Italia?”. E giù ad elencarci tutti i luoghi sulla terra dove ha vissuto: Cape Town, Windhoek, Cina etc.
“Ma ora devo venire in Italia, ci sono i migliori calciatori del mondo, anche se fa freddo”.
E via con una disquisizione alquanto dotta sulla differenza tra tattiche del Brasile e dell’Italia, concludendo: “I brasiliani sono forti perché hanno radici in Angola e Mozambico, come i francesi, che per giocare nella squadra nazionale basta parlare francese e sono tutti neri anche loro. Voi italiani invece giocate solo con gente del vostro paese vero?”
Non era il caso di discutere con lui riguardo al concetto di cittadinanza ovviamente, o che Zico e Kakà non assomigliano a dei Mozambicani, piuttosto che mio padre, che parla francese, non potrebbe mai essere selezionato per giocare con Zidane.
Mentre questo dialogo surreale procedeva, continuava ad entrare gente interrompendo senza problemi, mentre lui avrà ricevuto 20 telefonate in 10 minuti, continuando a grattarsi le piante dei piedi. Se doveva fare qualcosa, tipo spegnere la radio, urlava il nome dello schiavetto fuori dalla porta, che correndo entrava e spegneva la radio. Ma alzarti tu no, eh?
Dopo averci detto che il figlio di un ministro sarebbe stato interessato a lavorare per noi, che avremmo dovuto incontrarci in un momento ufficiale (leggi: pagatemi pranzo) che alla fine del progetto sarebbe volentieri venuto in Italia, ha finito con queste esatte parole:
“Nel 2006 mi sono presentato alle elezioni ma la gente non mi ha votato - chissà perchè, aggiungo io - poi per fortuna nel 2008 il Presidente mi ha scelto direttamente ed ora sono qua.”
E, compiaciuto, ci ha ristretto vigorosamente la mano e ci siamo congedati.

T.I.A. This Is Africa, one more time.

6 comments:

Anonymous said...

a parte i piedi, qui da noi è forse diverso? i nostri politici vogliono andare in israele o in congo...e allora?? ciao
mamma

Unknown said...

Ciao tenerone,
ti leggo sempre anche se non scrivo.
Un grande abbraccio.
Glauca

The Dark Nomad said...

Che cosa pensi che abbia fatto, prima di conoscerti?
Mi son grattato i piedi tutta la sera, ovviamente.
Però non m'hanno ancora fatto presidente.

Buon lavoro :)

Ruggero

Anonymous said...

Rieccoti
mi mancava un pò leggerti...soprattutto xè mi hai appena ispirato...prima della fatidica stretta di mano finale con il mio attuale datore di lavoro mi sgranocchierò un pò le dita dei piedi...sto valutando, seppur il tempo atmosferico nn è dalla mia parte, di tirare fuori le mie vecchie superga...danno un aroma indimenticabile...
Baci ( sempre che tu li voglia ancora da me :) ) Serena

Noe said...

Ehi ciao!!
bello il tuo racconto... forse ho capito perchè come politica non mi prendono abbastanza sul serio, dovrei grattarmi di più i piedi forse!

buon cammino :-)

Noemi

Anonymous said...

Finalmente ci scrivi :))

Mamma mia che gratta capo!! Che gratta piedi :)

Chiaretta