questo è un articoletto che ho scritto per la newsletter dell'associazione "Agronomi e Forestali senza frontiere".
Un articolo per una newsletter di agronomi…quando me l’hanno chiesto non ne ero molto convinto.
Punti a sfavore
Primo: non sono un agronomo.
Secondo: non sono uso a scrivere “a comando” (forse è per questo che ho accantonato il sogno di fare il giornalista dopo aver capito che prima di decidere in autonomia di cosa scrivere devi fare 20 anni di gavetta).
Punti a favore
Primo: sono un socio di agronomi e forestali senza frontiere.
Secondo: sono capo progetto in Zambia di un progetto agricolo.
Terzo: Mi piace sempre parlare dello Zambia e di quello che faccio.
A Favare batte a Sfavore 3-2.
Ed eccoci qui allora.
Sono arrivato in Zambia nel Novembre del 2006, dopo aver seguito un percorso abbastanza comune a molti giovani italiani: laurea, master, stage, disoccupazione, disperazione, luce alla fine del tunnel. La luce alla fine del tunnel è stato un ameno villaggio di nome Gwembe nella Provincia del Sud di quel paese chiamato Zambia. Non fate finta di conoscerlo. Non sapete dove è (per assonanza, vicino allo Zimbabwe…ma non a Zanzibar, purtroppo!) né tantomeno quando è l’ultima volta che ne avete sentito parlare. Lo Zambia è famoso per 3 cose: le cascate Vittoria, per aver dato i natali a Milingo e Wilbur Smith e per aver battuto l’Italia 4-0 in una partita delle Olimpiadi del 1988…insomma, non proprio un CV da urlo.
Avevo avuto la fortuna di conoscere, durante il mio periodo di master in Perù, Master organizzato dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Padova, un mio compagno di corso, Vittorio, che c’era stato. E anche una docente del corso, Mariella, ci era passata qualche anno prima. Stop.
Nei 27 anni di vita precedenti al mio arrivo all’aeroporto di Lusaka nel Novembre del 2006 queste erano le uniche informazioni che sapevo su un paese grande due volte l’Italia, che si trova da qualche parte in quella regione chiamata Southern Africa.
E ora sono qui da quasi 4 anni. “Come fai a starci da così tanto?” Ogni tanto qualcuno mi chiede. Ma perché in Zambia? In efetti vivo in una cittadina di 30,000 abitanti, Mazabuka, dove le due attrattive sono il supermercato e una delle più grandi piantagioni di canna da zucchero dell’Africa…
(E sto “migliorando”. I primi due anni e mezzo li ho passati in un villaggio/missione di gesuiti di 500 abitanti, Chikuni. A confronto, ora mi sembra di essere il ragazzo della Via Gluck che si può lavare in casa senza andare giù nel cortile!).
Lo Zambia semplicemente mi piace, mi piace il mio lavoro, mi piace l’organismo per cui lavoro (CeLIM, ONG di Milano) di cui ogni tanto brontolo, ma è quel brontolio rivolto all’amico che ogni tanto fa qualche “vaccata” (credo si possa dire, stiamo parlando di agricoltura) ma a cui vorrai sempre bene.
Sono al terzo progetto con CeLIM in Zambia. I primi due anni e mezzo li ho spesi in un progetto di microcredito nella valle di Gwembe. La valle rappresenta l’Africa tagliata fuori dalla globalizzazione, dall’economia, dalle comunicazioni. Non c’era rete per i cellulari, assenza quasi assoluta di macchine (se ne incontravo una ci si fermava per evitare il precipizio e per salutare chi era al volante), bambini dei villaggi che non avevano visto mai né un bianco, né tantomeno una automobile. Non ho mai capito se quando scendevo piangevano per me o per la visione del jeeppone 4x4 che mi portavo in giro…
Dopo due anni e mezzo passati a essere l’unico “Muzungu” (bianco) in un raggio di qualche decina di chilometri, il CeLIM mi ha chiesto se ero disponibile a concludere un progetto di Sicurezza Alimentare e di spostarmi nella poco ridente cittadina di Monze, che dista una trentina di km da Gwembe/Chikuni.
A Monze ho conosciuto un altro Zambia rurale, quello martoriato dalla piaga dell’AIDS. Il progetto dispensava “pacchetti alimentari” (animali – capre, polli, maiali – ma anche contanti) a famiglie con malati di AIDS tra i suoi membri. Il tentativo era quello di sviluppare della IGA (Attività Generatrici di Reddito) per aiutare l’economia della famiglia e di conseguenza anche la sua salute.
Ed ora sono qua, a Mazabuka, ad occuparmi di un progetto co-finanziato dalla Unione Europea. Per chi ama i termini tecnici, un progetto di Food Facility. Per chi vuol sapere dietro le definizioni da manuale cosa c’è: un progetto agricolo, che cerca di promuovere un’ agricoltura più legata al marcato e meno alla sussistenza, con componenti di microcredito, Conservation Farming e di stoccaggio e conservazione dei raccolti.
Dopo quasi 4 anni, mi divido ancora tra il mio ufficio e le visite di campo. E se è vero che la campagna dello Zambia non è l’Arcadia, ogni volta che salgo in macchina e so che mi aspetta una giornata tra visite ai beneficiari del progetto, sentieri in mezzo al nulla, sole a picco, polvere o fango, zig zag tra greggi di capre e mandrie di mucche…beh…posso semplicemente ammettere che mi sento semplicemente felice?
Wednesday, December 01, 2010
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