allora qui di seguito potete leggere l'articolo che il giornaletto del CeLIM, Ad Lucem, ha pubblicato nell'ultimo numero.
Spiega brevemente come lavoriamo e cosa facciamo.
Intanto qui si va avanti. La stagione delle piogge ha distrutto i raccolti e ora ci si mette anche un anticipata stagione secca a seccare i pochi campi che si sono salvati.
Speriamo di riuscire a lavorare in condizioni decenti.
E' stato qui anche Dimitris con cui abbiamo fatto 5 giorni a Chikuni, passati tra Nerghilè e dormite (da parte di lui).
Poi 3 giorni al lago Kariba e due a Livingstone.
Nel prossimo post metterò qualche foto esplicativa.
Una delle critiche che spesso si fanno al cosiddetto settore della Cooperazione allo Sviluppo è di creare brevi progetti ad hoc in una delle tante zone disastrate del pianeta, investire fondi per 2-3 anni, per poi concludere l’intervento, salutare tutti, andarsene lasciando i “locali” con un progetto che dovrebbe aver raggiunto quasi sempre la sostenibilità, ma spesso si affloscia dopo pochi mesi dalla cerimonia di chiusura e del passaggio di consegne.
Nella mia breve esperienza in questo settore, ho già visto progetti passati, presenti e futuri che sono stati finanziati, attuati e abbandonati con la lontana speranza che un giorno possano essere sostenibili.
Ma cosa si nasconde dietro a questo termine?
La logica dell’intervento di molti organismi simili al CeLIM è di inviare degli espatriati dall’Italia (ma anche da altri paesi) nelle zone dove esso opera perché lavorino, affiancati da personale “locale”, all’attuazione di progetti nei più disparati campi (educazione, microfinanza, lotta all’HIV, sicurezza alimentare, turismo responsabile etc.) con la speranza che una volta concluso il ruolo dell’organismo (mediamente dopo 3 anni), la controporta locale, insieme allo staff formatosi nei 3 anni, possa portare avanti da solo il progetto.
Altre volte invece la sostenibilità dell’intervento non viene “misurata” sulle strutture eventualmente lasciate dal progetto, che dovrebbero operare per gli anni successivi ma, ad esempio, nei casi dei progetti di sicurezza alimentare (dove ai malati di HIV sono consegnati dei “pacchetti” di cibo, sementi e attrezzi perché possano migliorare la loro dieta e la produttività dei campi) si può osservare direttamente sui beneficiari finali, se e come sono sopravvissuti alla malattia o alla situazione di crisi.
Il progetto in cui lavoro, distretto di Gwembe, zona tra le più povere nella Provincia del Sud dello Zambia, ha una filosofia diversa, dovuta soprattutto al settore d’intervento: la microfinanza.
La sostenibilità in questo caso non è un jolly che può essere giocato o no, ma da questa dipende la sopravvivenza dell’intero impianto post-progettuale.
Senza di essa, la struttura “bancaria” costruita per essere efficiente e fornire prodotti finanziari ai beneficiari della valle di Gwembe, scomparirebbe nel giro di qualche mese.
Per i neofiti, il microcredito funziona in modo del tutto similare a quello di una banca, con la sostanziale differenza che i “clienti” sono generalmente selezionati tra coloro che non avrebbero accesso ai prestiti delle banche tradizionali, in quanto non offrirebbero sufficienti garanzie.
I beneficiari del progetto di Gwembe spaziano da contadini ad allevatori, passando per proprietari di piccoli negozi ai pescatori, dalla vendita di cesti a quella di vestiti di seconda mano.
Il progetto, iniziato ufficialmente ad agosto del 2006, si rivolge soprattutto alle donne, come sempre target prediletto di molti programmi di sviluppo, in quanto generalmente molto più affidabili degli uomini.
Ad oggi sono stati erogati prestiti per 20.000 dollari a circa 160 beneficiari.
La strategia di lavoro segue uno schema semplice: io e lo staff, formato da solo personale locale, 3 uomini e 2 donne, ci rechiamo nei villaggi del distretto ed incontriamo la popolazione per un primo approccio, in cui viene spiegato chi siamo e come operiamo.
Le persone interessate vengono invitate a passare nel nostro ufficio per una prima registrazione, oppure, soprattutto per i villaggi che si trovano in aree particolarmente remote, ci rechiamo noi per una seconda visita.
I possibili clienti formano dei gruppi che poi vengono intervistati utilizzando due differenti questionari: uno di carattere più socio/antropologico, per capire la situazione generale del cliente e della sua famiglia; uno più economico, in cui il beneficiario spiegherà come vuole utilizzare il prestito, se ha già esperienze nel settore in cui vuole investire i soldi etc.
Ultima fase, che viene svolta interamente in ufficio, è quella della valutazione, in cui viene coinvolto tutto lo staff e in cui verranno scelti i beneficiari che riceveranno il prestito.
Successivamente ai clienti selezionati viene proposta la partecipazione a 3 differenti corsi: uno relativo al microcredito, uno al business e l’ultimo alla parità di genere.
Alla fine, dopo una piccola cerimonia, sobria ma in puro stile zambiano, vengono erogati i prestiti.
Ad oggi circa 120 donne e 40 uomini hanno beneficiato del prestito. Per ora la metodologia sì basa su quello che viene chiamato prestito di gruppo: dalle 3 alle 6 persone formano un gruppo, ognuna riceve la quota di partenza e tutti i membri sono responsabili della somma degli altri. Se insorgono problemi durante la restituzione, il gruppo nel suo complesso coprirà i debiti dei membri insolventi.
Il primo livello di prestito ammonta a circa 60 euro o 300.000 Kwacha, la moneta locale.
Dopo 4 mesi, se il ripagamento è stato buono e senza intoppi, si può accedere al successivo livello di prestito, che ammonta a circa 100 euro e così via fino ad arrivare a 250 Euro.
Da lì in poi si potrà far richiesta per una quota maggiore ed eventualmente accedere al cosiddetto prestito individuale, oppure rimanere in gruppo e continuare a ricevere tranche di 250 Euro come tetto massimo.
Oltre tale cifra si è visto un decrescere del tasso di restituzione, dovuto principalmente alla difficoltà per molti clienti di gestire una somma abbastanza ingente. Bisogna considerare che, ad esempio, il reddito pro capite in Zambia è di circa 800 Euro l’anno.
Dopo 10 mesi dal primo prestito, i dati sono incoraggianti, visto che il tasso di restituzione si aggira attorno al 95% e la lista “d’attesa” delle persone che si sono registrate per essere intervistate aumenta di giorno in giorno.
La fortuna di poter lavorare con un ottimo staff completamente formato da zambiani, di cui 3 della zona, mi permette di lavorare in una posizione defilata. Per un contadino analfabeta causa meno soggezione avere a che fare con un “compatriota” piuttosto che con un espatriato.
Le sfide per l’immediato futuro prevedono l’allargamento dell’area progettuale in aree più remote, l’apertura a nuovi tipi di business, in particolare la pesca e il superamento della stagione delle piogge mantenendo un buon tasso di ripagamento. Tra novembre e marzo la maggioranza dei clienti utilizza i soldi del prestito per comprare fertilizzanti e sementi e i frutti si vedranno solo con il raccolto di aprile-giugno.
Ma sarà soprattutto la creazione della MFI la novità maggiore dell’anno che viene. Ciò prevedrà la fusione futura dei due progetti di Gwembe e Siavonga e la creazione di un unico ente erogatore di prestiti con due filiali. Molto insomma bolle in pentola in quest’area remota dell’Africa Sub-sahariana.
Dalla bagnata e verde Gwembe per ora è tutto.
1 comment:
necessita di verificare:)
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